martedì 25 novembre 2014

Aureola e Forcone, ovvero Dialogo delle Voci




Non solo Dan Brown ha scritto di Angeli e Demoni.  

Anche Roberto Grassi, con la sua combriccola di autori di giochi di narrazione (Michele Mencarini, Bruno Guerzoni e Gianmario Marrelli) ha lavorato sul tema, producendo un gioco snello, adattabile ad aule di formazione e a mio parere anche piuttosto divertente: mezz’ora al massimo di durata,  poche regole –quattro paginette comprese le espansioni , per di più con le figure- applicabile a quattro partecipanti o gruppi di.
In molta sintesi (ma se volete leggervi tutto il regolamento in PDF lo trovate per intero nel mio sito www.madonadoni.it  fra le news, cliccando cioè sull’icona giornale che trovate in home page in basso a destra) si tratta di fare cominciare a un narratore una sua piccola storia, a cui fanno da commentatori/coautori tre altri giocatori: uno rappresentante l’angelo che spinge per le scelte che ritiene (lui, l’angelo) più corrette ed eticamente allineate; uno che fa il demonietto, suggerendo le scelte più egoisticamente funzionali (sempre secondo lui); e un terzo che fa da coscienza quando per vari motivi di scelta o di sorte (a volte per decidere si tira un dado) non vincono né l’angelo né il diavolo.
Alla fine ne esce –nel contesto puramente ludico- un divertente  racconto costruito ogni volta in modo diverso e a più mani da tutti quanti i quattro protagonisti del fatto.

Bel gioco, ma checcentra ‘on la formazione? Ci arrivo.
La scorsa settimana, per esempio,  in ambito di CPC  (Comunità di Pratica Coaching), una collega ha presentato a tutti noi partecipanti  Voice Dialogue, un modello di approccio a counseling e coaching sviluppato da Hal e Sidra Stone  fin dagli anni '70, dedicato a situazioni in cui al coachee serve fare una buona analisi delle pressioni e delle opportunità che gli stanno davanti, dietro e a fianco (per approfondimenti http://www.voicedialogue.it/).
Citando qua e là dal sito italiano, “risultato del loro lavoro è la Psicologia dei Sé, secondo la quale l' IO non è una realtà  monolitica, ma è costituito da una molteplicità di aspetti (o Sé interiori). 
Secondo la prospettiva del VD, la nostra personalità è composta di molte parti (o sé interiori) differenti; ogni sé ha il suo modo di pensare e percepire cose e persone, esercitando una specifica influenza sulla fisiologia, la postura, il modo di respirare, il tono della voce, le scelte e la gestione delle interazioni. Il VD è anche una tecnica particolarmente sofisticata di “intervista ai sé”, nella quale le diverse parti che ci compongono sono invitate ad esprimersi liberamente, in modo che il nostro IO acquisti consapevolezza della loro esistenza, riconosca le loro ragioni e li trasformi da potenziali sabotatori in potenti alleati del nostro benessere. L’obiettivo: sviluppare e radicare un “ego consapevole” che, a differenza dell’IO operativo, non è identificato completamente con nessuno dei sé interiori, ma è in grado di ascoltare e sperimentare le diverse parti, scegliendo di volta in volta quali attivare nelle diverse situazioni. 

Beh, ho pensato, in questo discorso Aureola & Forcone in effetti ci sta dentro una cifra, come dicono i gggiòvani: magari semplificandone un po’ il tema di base, adattando questo e quello, proponendolo anche a livello di team invece che individuale, facendo sempre e comunque molta, molta attenzione a non sforare in pericolose derive da psico se non avete una laurea adeguata, credo che il plot di questo gioco potrebbe essere un buon viatico iniziale per chi volesse successivamente utilizzare questa modalità ad esempio in un gruppo di coachee.

martedì 7 ottobre 2014

BUON APPETITO!



Da qualche tempo il coking è molto richiesta da parte dei responsabili aziendali della formazione.

Io ho qualche dubbio sul tema in sé, che richiede un’attrezzatura particolarmente complessa, attenzione alla sicurezza, e soprattutto –sempre secondo me- un  basso livello di reale interazione. Mi si dice “organizzare un menù in cui ciascuno deve creare-produrre un piatto in funzione degli ingredienti  a disposizione  è molto vicino a quanto accade in azienda”.
Vero, per certi versi, ma io resto dell’idea che il piatto in sé - a differenza di un prodotto da vendere- è un  elemento molto individuale, e il menù che collega tanti piatti non richiede più di tanto sforzo per essere concordato: se tu vuoi fare la pasta alla norma e io la fiorentina non ci vedo alti livelli di conflittualità, salvo che per entrambi non risulti a disposizione in solo cucchiaio di olio, e allora uno dei due semplicemente non può arrivare al suo obiettivo…
Certo se ci si aggiunge che si deve fare anche la spesa entro un certo budget, e magari anche acquistare i materiali (pentole e piatti) allora la connessione sull’obiettivo finale formativo cresce, ma anche il budget reale della sessione formativa. 
Senza considerare che i fuochi devono essere di  un certo tipo che garantisca sicurezza, non ingerenza dell’ASL locale,  ecceta eccetera.

Dico ciò, d’altra parte,  consapevole del fatto che io personalmente adoro fare da mangiare, ma in cucina non voglio fra i piedi nessuno, e quindi non la considero attività di gruppo tout court.
Limiti personali, direte, e avrete ragione, anche se questo non contraddice il fatto che  l’ ambiente metaforico della cucina abbia senza dubbio il suo fascino (ne ho anche scritto un libretto, MANUALE DI SOPRAVVIVENZA IN CUCINA PER UN SINGLE DI SECONDO STADIO, che potete scaricare liberamente da http://singledisecondostadio.blogspot.it/)  e come dimostrano le decine di trasmissioni TV e libri di ricette pubblicati un po’ ovunque.

In altra ottica quindi  ho appena usato con viva e vibrante soddisfazione  il tema cucina, e il come  lo vorrei condividere i questa sede.
1)      Un gruppo di polacchi che fa capo a OleksandrNevskiy  e Oleg Sidorenko per la IGAMES  Portal Games uplay.it edizioni  ha pubblicato lo scorso anno Tajemnicze Domostwo (che significa più o meno  la casa infestata) il cui obiettivo è di identificare alcuni elementi chiave di un delitto avvenuto in una casa infestata da un fantasma per poterlo finalmente liberare dalla stessa.
2)      Io ho giocato (in italiano, ovviamente) a ‘sta roba durante l’ultimo Mucca games di Santa Marinella, sotto l’illuminata guida di Domenico di Giorgio, e mi si è accesa subito una lampadina, anzi una lampadona: è un gioco intelligente, di cooperazione, che mette in moto un sacco di competenze molto lavorative: comunicazione, ascolto, negoziazione, empatia, gestione del tempo.
3)      Funziona su alcune tessere oggetto-luogo-persona che ogni team deve identificare come sue (per poter sciogliere il mistero e liberare il fantasma) in base a carte illustrate ma generiche fornite da un master-fantasma assolutamente muto. Il tutto con discussione aperta fra team, dato che la liberazione dell'ectoplasma deve avvenire entro un tot di tempo prefissato, pena la sconfitta di tutti.

Che c’entra tutto ciò con la partenza culinaria del discorso? Spiego subito.

Da portare in aula il tema del soprannaturale potrebbe essere tosto, e così  –ecco il nesso- ho pensato di reindirizzarne il concetto in ambiente culinario: al posto di catene, ragnatele e ululati ho messo piatti, cuochi paradossali o divertenti, cucine più o meno probabili. 

Poi carte riprese da altri giochi piene di indizi casuali, ma anche da tarocchi normalissimi o mazzi da vecchio mercante in fiera. Obiettivo:  definire come novelli  Bruno Barbieri, Carlo Cracco o Joe Bastianich, a seconda di chi vi sta più sulle palle dei tre,  il master chef della sessione formativa.
Il risultato? Un ottimo mix di divertimento, tensione e interesse, chiuso come sempre rigorosamente da un bel de briefing su come i team-cuochi del caso hanno gestito decisioni, scelte e relazioni.
Per chi fosse interessato , il PDF delle carte e del regolamento sono a ‘esposizione chiedendo il tutto  a marco@madonadoni.it, la mia mail diretta.
E buon appetito!

venerdì 5 settembre 2014

Giochiamo che facevo la doccia?



Questa estate si è fatto un gran parlare di  ice bucket challenge, la prassi-sfida di tirarsi un secchiata di acqua gelida in nome della ricerca sulla SLA. 
Che ha fruttato, e ne siamo tutti felici spero, più di un milione e trecentomila eurii al momento in cui scrivo. I quali verranno usati davvero a favore dei pazienti e delle loro famiglie: garantisco personalmente per conoscenza diretta.
Ma ha fruttato anche molte polemiche, perché siamo italiani e a restare sull’obiettivo perdendo l’occasione di dire pirlate non ce la facciamo proprio. 

Nell’ambito del ristretto mondo del gioco e dei suoi “esperti”, sempre questa estate, si è parlato molto di ludopatia, azzardopatia e gamification. Il che ha fruttato anche qui molte polemiche, perché siamo italiani eccetera. 
Estrapolando il terzo elemento (dei primi due ne parleremo senz'altro un'altra volta) mi sono chiesto se la secchiata sfidante poteva rientrare tecnicamente nel mondo del gioco, via appunto gamification, e nello specifico del gioco formativo. 

E mi son detto che sì. Richiamiamo un attimo il grande spirito categorizzante di Caillois (come detto in altri post, se non sapete chi è perché leggete questo blog?):

a) L’agon c’è senza dubbio: il meccanismo è quello di fare una mossa – secchiarsi e versare un’offerta- sfidando qualcun altro a fare lo stesso anche lui.
b) L’ilinx pure: provate voi a versarvi  addosso un secchio di acqua fredda e vi assicuro che vi vengono le vertigini.
c) La mimicry la vedo soprattutto nell’ attorialità del gesto, che non a caso ha visto impegnarsi molti attori della politica e dello show biz.
d) L’alea a qualcuno  formalmente  potrebbe sembrare  un po’ mancare, ma se guardiamo bene sta proprio nell’ incertezza del ricavato: e infatti possiamo dire che la famiglia dei malati ha vinto la sua piccola lotteria.

Quindi la gamification qui c'è ed ha funzionato: proporre un’attività sotto forma di gioco per arrivare ad un risultato (conoscenza della malattia, raccolta di fondi per combatterla) che altrimenti avrebbe avuto molte più difficoltà ad essere raggiunto attraverso canali “seriori e razionali” forma proprio la base del termine di cui sopra.

Cosa posso imparare/confermare da questa analisi, sempre inevitabilmente superficiale come tutte le mie?
1)            Che il gioco è una leva straordinaria per stimolare a obiettivi che possono essere anche consapevolmente  molto seri, e che quindi qualche lettura riduttiva di Huizinga (altro nome che dovete conoscere, se no perché siete qui?), lettura secondo cui per definire una cosa  gioco dobbiamo per forza restare nell’inutile assoluto, forse va rivista. E io la sto rivedendo sempre più spesso, ad esempio organizzando esperienze ludico-formative, che hanno come obiettivo consapevole vincere una gara a fare qualcosa di  socialmente utile.
2)                  Che impuntarsi troppo sulle definizioni e sulle classificazioni a qualcuno fa perdere di vista l’obiettivo che ci si era dato quando si erano prese in considerazione le stesse.
3)                  Che siamo italiani e a restare sull’obiettivo perdendo l’occasione di dire pirlate non ce la facciamo proprio.

mercoledì 23 luglio 2014

INDOMIMANDO AL CELL



Io whatsup nemmeno lo volevo. Già in troppi si insinuano nella mia privacy con sms, mail e telefonate. 
Anzi, dirò di più, credevo/speravo di avere un cellulare troppo vecchio per poterlo installare. E vivevo tranquillo.
Un giorno scopro invece che no, anche symbian può reggere la malefica app, e così subdolamente il fumetto verde entra nel circuito delle mie conoscenze e sono finito. 

Oddio, al momento mi controllo e lo controllo ancora, infatti ho solo 5 conversazioni in corso, ma ormai ci sono dentro.
In compenso, e anche questo avviene quasi per caso, scopro che si possono usare gli smile, e che per di più ce ne sono un sacco. Li scopro poco a poco, scendendo quasi casualmente sotto la schermata iniziale, e vedo che ci sono molte pagine con immaginette tutte diverse, e a volte anche molto divertenti.
Apperò, mi dico, ecco dove le mie cugine trovano tutti i disegnini che mi mandano. Ecco come fanno invece di perdere tempo a scrivere parole lunghe come OK a digitare molto più funzionalmente e più velocemente una manina con pollice alzato. 
Tra parentesi: cerco una manina fra tante anche col medio alzato, non la trovo e mi dico che questa è una grave lacuna che mi riprometto di fare presente appena posso ai responsabili dell'applicazione.
Nel frattempo però mi chiedo anche: non è che questa è una nuova forma di comunicazione, che sta prendendo piede mentre io guardo da un'altra parte? 
Gli emoticon all'inizio erano nati per simulare la componente non verbale della comunicazione elettronica, ora mi diventano comunicazione tout court?

Ripassiamo la storia: la comunicazione scritta nasce prima con dei disegni che rappresentano le cose, tipo coccodrillo o acqua, e per metafora evolvono poi cercando anche di indicare concetti astratti. E li chiamano geroglifici. 
Qualche secolo più tardi qualcuno scopre che è più efficace, anche al fine di elaborare e rappresentare concetti più complessi di coccodrillo o acqua, inventare e condividere simboli che non li rappresentano direttamente, ma che definiscono graficamente il suono che compone quelle parole  così come vengono  pronunciate.
Un meccanismo geniale che in breve permette con più o meno 21 simboli di scrivere tutto quello che si vuole. E li chiamano lettere.E pare una grande evoluzione. 
 
Errore: oggi infatti, al sommo della potenzialità nella comunicazione di rete globale, ecco che stiamo tornando ai geroglifici.

Qual è il senso di tutto ciò? Boh.

In compenso, mentre mi dibatto fra questi problemi di semantica applicata, ecco nascere un altro pensiero: ma se usassimo questo meccanismo di simboli e nonlettere per fare indovinare qualcosa -magari invece di un coccodrillo o dell'acqua il titolo di un film o di una canzone- ad un gruppo di persone raccolte in un comune gruppo di indirizzi (gente se possibile disposta a giocare per non rompere le balle a tutti) cosa succederebbe? Così, per giocare a comunicare in modo diverso e su canali diversi, anche a distanza...

Succede che nascerebbe via whatsup GAMEICON  (marchio non ancora registrato ma si sappia che l'ho pensato io), una nuova forma di vecchio gioco dei mimi (o indomimando, per chi vuole proprio spendere soldi per giocare a quello che potrebbe fare gratis solo muovendo le mani).

Bella pensata, mi sto attivando e la metto in pratica!
Magari cominciando proprio con il gruppo delle mie cugine. Così imparano.