No, non Di Caprio, Da Vinci.
Mi sta capitando sempre più spesso -o forse ci sto più
attento- di incontrare testi, articoli e affermazioni legate al concetto della
“ecletticità virtuosa”: dal già citato Sennett di Uomo Artigiano (Feltrinelli)
ad Chris Anderson (Wired febbraio 2013) in un articolo sul caso Tesla e i robot
multitasking. E di apprezzare persone capaci di esprimersi positivamente in
molti campi, senza essere guru in nessuno.
Perché, Leonardo non era un esperto? Per certi aspetti no, se definiamo così un professionista che sa tutto il possibile di un settore specifico. Lui questa scienza non l’aveva, o quanto meno la controllava meno di molti suoi coetanei. E infatti tante delle sue macchine non funzionavano né avrebbero potuto funzionare, molte delle sue idee non stavano tecnicamente in piedi. Artigiano va meglio, inteso nel senso di qualcuno che non può permettersi di/non vuole restare legato ad un solo ambito ristretto, magari anche rinunciando all’eccellenza assoluta, ma capace di sperimentare fuori dalla sua zona di confort perché ha necessità di crescere. Ecco, io (insieme a Sennett) gli artigiani li sento più vicini al nostro tempo di quanto lo siano i guru/esperti. Quanto meno, nel mio piccolo, li sento più vicini a me di quanto non senta quelli che ad esempio nel gioco sanno tutto di tutti (citando autori, date, particolari e situazioni), o quelli della formazione culturalmente “alta”( tipo alcuni vertici AIF o ICF). Lo so, in parte è invidia, perché hanno sempre e subito le risposte apparentemente giuste. Ma in parte sinceramente mi irritano, perché mi danno un senso di compiacimento per la rigidità della loro conoscenza.
Naturalmente so che gli esperti sono importanti, necessari e
indispensabili, ma credo che lo diventino nel momento in cui, ad esempio, il
percorso creativo si chiude verso l’implementazione dell’idea, non nel momento
in cui deve fiorire. Dopo che questa è stata originata.
Questa è la regione, fra parentesi, in base alla quale non
credo che possano essere “i professori” a salvare l’Italia di oggi: sono tutti
senza dubbio esperti, ma di problemi nati anni fa, quindi molto diversi da come si propongono
oggi. Ho la percezione che i guru diano un sacco di risposte giuste a domande
sbagliate, di cui non possono capire il senso errato proprio perché sono esperti
di quelle “scadute”. Servirebbe un modo diverso di pensare, e quindi il
coraggio della curiosità e della improvvisazione. Se vogliamo, lo specialista dovrebbe essere usato per poter evidenziare le
soluzioni canonicamente "giuste", e bloccarle proprio perché si è consapevoli del fatto che il
problema non può non essere cambiato.
Una delle competenze chiave dei game designer che conosco è la
conoscenza di tutto il mercato attuale del gioco in scatola, conoscenza
dimostrata citando costantemente i “padri nobili”, da Randolph a Knizia, da
Darrow a Gary Gygax o i capostipiti paradigmatici del gioco americano. Come ai
congressi ho incontrato un sacco di prof che citano a
memoria i testi sacri della sociologia, della psicologia e della didattica con
tutte le deviazioni più o meno canoniche, vedi PNL e costellazioni sistemiche
varie.
Tuttavia in aula io vedo e ascolto persone a cui la
citazione del modello della leadership di Covey non basta più per affrontare le
problematiche quotidiane, proprio perché loro il problema ce l’hanno nel 2013
in Italia e Covey ha pensato al suo schema alla fine del secolo scorso in
America.
Forse la soluzione per questo momento di transizione quasi
incontrollabile potrebbe essere quello di mettere diverse formule dentro un sacchetto (dopo averle ovviamente
selezionate in funzione del caso specifico anche fra quelle un po’ meno
accademiche), agitare per bene ricreare un puzzle di pezzi di competenze,
inevitabilmente non troppo approfondite, insieme che magari farà raccapricciare i grandi
esperti ma che potrebbe fornire gli strumenti giusti per una situazione non più
corrispondente ai vecchi standard.
Essendo un non esperto non ricordo chi ha formulato la
teoria del caos didattico ma so che fu Nietzsche a dire come bisogna avere il caos dentro per
generare una stella danzante: forse, se si trova il modo di gestire 'sto caos con mezzi
minimamente razionali, questo potrebbe essere il modello di successo del
futuro.
Per chi poi come me è appassionato di opere vinciane e ne vuole
usare la forza eclettica in formazione ludico-esperienziale, posso consigliare
alcuni prodotti commerciali che secondo me possono dare interessanti stimoli all’aula:
intanto il ponte di Leonardo, una specie di rompicapo basato sulla teoria della
frizione e dei pesi in base a cui un ponte sta su senza alcun aggancio o chiodo
(ottimo per il problem solving creativo).
Per secondo Magnifico, un Risiko anni ‘400 progettato da
Spartaco Albertarelli e Angelo Zucca, in cui si devono fare evolvere stati
rinascimentali facendo evolvere al contempo le invenzioni dell’epoca (utile per
la visione strategica).
E per finire Leonardo Da Vinci, ponzato dal gruppo Acchittocca
per i tipi della DaVinciGames, un gioco
studiato proprio per vedere cosa sarebbe successo modificando e
sviluppando le macchine di Leo: la chiave è pianificare le risorse e la
capacità di produzione per massimizzare il numero di invenzioni che si possono
fare (pianificazione e gestione risorse).
E poi –se lo trovate perché è un pezzo da collezione ormai- potete
mettervi a giocare anche con un mio vecchio titolo, Leonardo (Editrice Giochi),
una specie di Monopoli utilizzabile in chiave di team building (i giocatori
vincono in solitario ma devono puntare all’obiettivo considerando anche che
sono raggruppati in Guelfi e Ghibellini)
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