sabato 2 febbraio 2013

Ode a Leonardo


No, non Di Caprio, Da Vinci.

Mi sta capitando sempre più spesso -o forse ci sto più attento- di incontrare testi, articoli e affermazioni legate al concetto della “ecletticità virtuosa”: dal già citato Sennett di Uomo Artigiano (Feltrinelli) ad  Chris Anderson (Wired febbraio 2013) in un articolo sul caso Tesla e i robot multitasking. E di apprezzare persone capaci di esprimersi positivamente in molti campi, senza essere guru in nessuno.

 Perché, Leonardo non era un esperto? Per certi aspetti no, se definiamo così un professionista che sa tutto il possibile di un settore specifico. Lui questa scienza non l’aveva, o quanto meno la controllava meno di molti suoi coetanei. E infatti tante delle sue macchine non funzionavano né avrebbero potuto funzionare, molte delle sue idee non stavano tecnicamente in piedi. Artigiano va meglio, inteso nel senso di qualcuno che non può permettersi di/non vuole restare legato ad un solo ambito ristretto, magari anche rinunciando all’eccellenza assoluta, ma capace di sperimentare fuori dalla sua zona di confort perché ha necessità di crescere. Ecco, io (insieme a Sennett) gli artigiani li sento più vicini al nostro tempo di quanto lo siano i guru/esperti. Quanto meno, nel mio piccolo, li sento più vicini a me di quanto non senta quelli che ad esempio nel gioco sanno tutto di tutti (citando autori, date, particolari e situazioni), o quelli della formazione culturalmente “alta”( tipo alcuni vertici AIF o ICF). Lo so, in parte è invidia, perché hanno sempre e subito le risposte apparentemente giuste. Ma in parte sinceramente mi irritano, perché mi danno un senso di compiacimento per la rigidità della loro conoscenza.
Naturalmente so che gli esperti sono importanti, necessari e indispensabili, ma credo che lo diventino nel momento in cui, ad esempio, il percorso creativo si chiude verso l’implementazione dell’idea, non nel momento in cui deve fiorire. Dopo che questa è stata originata.
Questa è la regione, fra parentesi, in base alla quale non credo che possano essere “i professori” a salvare l’Italia di oggi: sono tutti senza dubbio esperti, ma di problemi nati anni fa, quindi molto diversi da come si propongono oggi. Ho la percezione che i guru diano un sacco di risposte giuste a domande sbagliate, di cui non possono capire il senso errato proprio perché sono esperti di quelle “scadute”. Servirebbe un modo diverso di pensare, e quindi il coraggio della curiosità e della improvvisazione. Se vogliamo, lo specialista  dovrebbe essere usato per poter evidenziare le soluzioni canonicamente "giuste", e bloccarle proprio perché si è consapevoli del fatto che il problema non può non essere cambiato.

Una delle competenze chiave dei game designer che conosco è la conoscenza di tutto il mercato attuale del gioco in scatola, conoscenza dimostrata citando costantemente i “padri nobili”, da Randolph a Knizia, da Darrow a Gary Gygax o i capostipiti paradigmatici del gioco americano. Come ai congressi ho incontrato un sacco di prof che citano a memoria i testi sacri della sociologia, della psicologia e della didattica con tutte le deviazioni più o meno canoniche, vedi PNL e costellazioni sistemiche varie.

Tuttavia in aula io vedo e ascolto persone a cui la citazione del modello della leadership di Covey non basta più per affrontare le problematiche quotidiane, proprio perché loro il problema ce l’hanno nel 2013 in Italia e Covey ha pensato al suo schema alla fine del secolo scorso in America.

Forse la soluzione per questo momento di transizione quasi incontrollabile potrebbe essere quello di mettere diverse formule  dentro un sacchetto (dopo averle ovviamente selezionate in funzione del caso specifico anche fra quelle un po’ meno accademiche), agitare per bene ricreare un puzzle di pezzi di competenze, inevitabilmente non troppo approfondite, insieme che magari farà raccapricciare i grandi esperti ma che potrebbe fornire gli strumenti giusti per una situazione non più corrispondente ai vecchi standard.

Essendo un non esperto non ricordo chi ha formulato la teoria del caos didattico ma so che fu Nietzsche  a dire come bisogna avere il caos dentro per generare una stella danzante: forse, se si trova il modo di gestire 'sto caos con mezzi minimamente razionali, questo potrebbe essere il modello di successo del futuro.

Per chi poi come me è appassionato di opere vinciane e ne vuole usare la forza eclettica in formazione ludico-esperienziale, posso consigliare alcuni prodotti commerciali che secondo me possono dare interessanti stimoli all’aula: intanto il ponte di Leonardo, una specie di rompicapo basato sulla teoria della frizione e dei pesi in base a cui un ponte sta su senza alcun aggancio o chiodo (ottimo per il problem solving creativo).

Per secondo Magnifico, un Risiko anni ‘400 progettato da Spartaco Albertarelli e Angelo Zucca, in cui si devono fare evolvere stati rinascimentali facendo evolvere al contempo le invenzioni dell’epoca (utile per la visione strategica). 

E per finire Leonardo Da Vinci, ponzato dal gruppo Acchittocca per i tipi della DaVinciGames, un gioco  studiato proprio per vedere cosa sarebbe successo modificando e sviluppando le macchine di Leo: la chiave è pianificare le risorse e la capacità di produzione per massimizzare il numero di invenzioni che si possono fare (pianificazione e gestione risorse).

E poi –se lo trovate perché è un pezzo da collezione ormai- potete mettervi a giocare anche con un mio vecchio titolo, Leonardo (Editrice Giochi), una specie di Monopoli utilizzabile in chiave di team building (i giocatori vincono in solitario ma devono puntare all’obiettivo considerando anche che sono raggruppati in Guelfi e Ghibellini)

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