9 giugno 2014, si parla di giochi fra la via Emilia e il West,
fra cosce e zanzare a cui dai del tu (un vero Ligabue c’è, anche se è Andrea,
non proprio quello là), fra duroni e amarene, sotto l’insegna della taverna sul
Tiepido e l’egida del Modena In.
Giochi che, contrariamente alla definizione ufficiale di
Huizinga che li pretende necessariamente gratuiti sotto ogni aspetto, sono invece
pensati e usati a fine utilitaristico, a fine di crescita personale, aziendale,
scolastica.
Ci sono insegnanti, consulenti, persone di risorse umane e
ludologi, tutte e tutti uniti
nell’attesa di condividere, capire e carpire elementi da riversare poi nella
vita lavorativa quotidiana.
Perché se è vero che si parla di gioco, in realtà si intende
lavoro, di come migliorarlo attraverso
la metafora del dado, del quiz, del mattoncino da costruzione e del roleplaying e dei loro tanti usi.
Cominciando col chiederci perché abbiamo voglia di saperne
un po’ di più, continuando con la citazione di elementi teorici sul concetto astratto
e concreto di gioco, sulla potenza dell’idea del “giochiamo che io ero” così
adatta ai bambini e così difficile da assimilare per gli adulti (tanto che
nella proposta di provare a liberare il fanciullino che sta in noi questa sera
alcuni non ci sono nemmeno riusciti …) per arrivare a vedere alcuni esempi
pratici di applicazioni in ambito aziendale.
Quella in particolare che si é sviluppata è un mix di poesia
giapponese – l’Haiku- e di indovina chi? Finalizzata
a capire in concreto come si possono selezionare e indirizzare le parole al fine
di esprimere sentimenti nell’ambito delle relazione e della comunicazione.
Il contesto formativo
fa riferimento al modello di intelligenza emotiva come sviluppato da Goleman, concretizzato
attraverso una piccola gara che prevede la distribuzione di alcuni “emoticon”
con faccine da arrabbiato, triste, felice, euforico, disgustato e così via, che
si devono tradurre appunto in poesia sintetica secondo le regole canoniche
dell’haiku: rigorosamente solo tre righe di 5/7/5 sillabe.
Un po’ come dire, con Ruggeri:
mare d’inverno/stanche parabole
di/ vecchi gabbiani.
Una volta create in segreto queste liriche, ciascuno legge
la sua e il pubblico giocante cerca di indovinare
a quale emozione fa riferimento. Obiettivo ludico: essere il partecipante che
ne indovina di più; obiettivo formativo: imparare che si possono controllare le
emozioni attraverso la comunicazione.
Il risultato: molte facce sorridenti e la speranza di
portare a casa qualche nozione in più su come si può imparare/crescere
seriamente senza essere seriosi.
Magari andando anche oltre
i cosiddetti “serious games”.
Magari valorizzando la competenza specifica dei NON esperti.
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