Quando c’era Carosello (quello
vero, non la squallida imitazione che ogni tanto si vede oggi) passava una
pubblicità in cui un vigile fermava un cavernicolo che aveva infranto il codice
della strada, e quello, che non capiva il senso delle regole moderne, gli
rispondeva in veneto maccheronico
“quadrati, triangoli, striche par tera, tuto va ben, tuto fa brodo…”, al
che partiva un coretto pubblicitario che
cantava "Non è vero che tutto fa brodo, è Lombardi il vero buon brodo!".
Il vigile e il cavernicolo mi sono
tornati in mente leggendo un casuale e curioso libretto non proprio nuovo (la
prima edizione italiana risale al 1966 per i tipi di Adelphi, ma l’autore Edwin A.
Abbott l’aveva scritto nel 1882) dal titolo Flatlandia.
E’ un romanzo breve, che
richiama anche un po’ i paradossi dell’ Alice di Carroll, neanche tanto facile
da leggere, di quasi fantascienza . In
cui il protagonista vive diverse avventure fra universi geometrici paralleli,
partendo da quello piano monodimensionale, in cui i ”protagonisti viventi” sono
solo linee e punti, passando a quello a due dimensioni, che prevede soggetti a
forma di cerchi, quadrati e triangoli più o meno regolari, per finire in quella
a tre dimensioni, in cui gli abitanti sono solidi.
Che c’entrano Carosello, Flatlandia
e la formazione ludica? C’entrano perché il racconto, esasperando la diatriba
fra l’ottica di un cavernicolo e quella di un
tutore dell’ordine, è tutto
giocato esattamente sulla difficoltà di vedere la realtà da diversi punti di
vista, sottolineandone la difficoltà di
accettare che questi punti diversi possano anche solo esistere. Un esempio: una
linea che vede un’altra linea da dietro crede sia un punto, quando guarda il
quadrato non riesce a coglierne il “retro” e concepisce solo che possa essere
un’altra linea, un essere tridimensionale non riesce a fare capire il senso del
“su” a un cerchio. E così via.
Tutto questo mi ha stimolato l’idea
di un gioco in cui, attraverso la distribuzione di carte rappresentanti personaggi adulti, vecchi, infantili,
maschili, femminili, omosessuali, sani, malati, occidentali, antichi, moderni,
orientali, ebrei, mussulmani o cristiani si devono descrivere con occhi diversi
dai propri cose, situazioni o figure prese da un altro mazzo. Per esempio, come
potrebbe identificare un bidone di
plastica un antico fenicio? Come leggerebbe una chiesa piena di crocefissi un
aborigeno australiano? O un sacchetto di biglie un anziano? O un’ostrica un
esquimese….?
Risultato formativo su cui si
potrebbe lavorare: analisi delle
difficoltà di mettersi nei panni di qualcosa diverso da sé, complessità nel
creare linguaggi che permettano da fare capire a tutti la stessa cosa, analisi
della creatività richiesta dal multiculturale, consapevolezza della forza degli
stereotipi e delle credenze.