lunedì 9 agosto 2021

I MENTAL COACH DOVREBBERO SERVIRE A PERDERE

 

Dopo ogni Olimpiade mi viene da scrivere qualcosa, vedi -per chi ne avesse voglia- i post datati 8.8.2012 e10.8.2016 in questo blog.

Generalmente cerco di ragionare sul concetto di un errore vitale che trasmette lo sport imponendo “o vinci o non sei nessuno”, epitaffio inevitabile in campo ludico sportivo ma che si dovrebbe cercare di evitare in campo di vita (avete presente il concetto del win win e delle dinamiche dominanti di Nash?).

Veramente inevitabile poi? Il grande pazzo Tamberi, assieme all’altrettanto grande Barshim, forse ci ha insegnato che qualche volta non è così inevitabile, neanche nello sport. "Ci siamo guardati negli occhi. Non è servito altro” La sua irrefrenabile gioia insieme alla calma e composta soddisfazione del quatariota ci hanno dimostrato che può essere comunque un risultato fantastico vincere pure senza che l’altro perda.

Ma è roba difficile da far passare, ammettiamolo, e infatti Armand Duplatis, oro nel salto con l’asta e uno dei personaggi cult dell’atletica attuale, ha commentato il gesto come bello ma non condivisibile.

Però, ripeto, su questo tema ho già sproloquiato più volte, se vi va di sapere cosa penso più approfonditamente risalite nel tempo e nel blog.

Riprendo invece la frase “o vinci o non sei nessuno” per commentare la grande attenzione posta dai media ai mental coach. Ovviamente riferendosi a chi aveva vinto.

Perché se è vero che, come recitano tutti i giornali, “dietro il trionfo olimpico di Marcell Jacobs c'è Nicoletta Romanazzi, la sua mental coach” anche dietro a Andre De Grasse, il canadese che ha perso arrivando terzo, ci starà pure un mental coach (non parlo del quarto, perché a risalire al suo nome in internet non sono riuscito, provate voi, tanto per dire quanto conta un quarto posto alla finale olimpica). Così come dietro Paola Egonu, la regina del nostro Volley ce ne sta un altro. Insomma, abbiamo capito che ad alto livello non arrivi a partecipare se non curi la preparazione mentale.

Ma non è che per vincere l'MC basta: se non hai anche il resto (dono naturale, preparazione fisica, sacrificio, tecnologia, più una certa dose di fortuna per arrivare a quel preciso momento in condizione ottimale magari con gli altri un po’ meno ottimali) non vinci comunque

Mi concederete di dirlo, credo, spero, visto che anche io nel mio piccolo sòccocc.

 

Semmai il supporto del MC mi pare diventare determinante quando perdi, in questo mondo di vittorie necessarie, di vincere e vinceremo, di vittoria o morte… In questo mondo di vincitori predestinati che crollano (vedi Biles, Djokovich, Osaka) proprio a causa di quella predestinazione, dei olimpici che si sgretolano anche quando vincono al pensiero che potrebbero perdere. Le nostre schermitrici, i nostri pallanuotisti, anche i nostri attuali lampi atletici azzurri -che prima o poi perderanno, come successo perfino a Valentino Rossi- hanno e avranno bisogno di qualcuno che li aiuti a rimettersi in piedi per la prossima vita, che li ristrutturi su possibilità che non siano certezze, sul senso vero del competere che non è solo ed esclusivamente vincere ma stare comunque dentro una performance che ci soddisfi e renda migliori. Per riguadagnare più punti, pista e tempo grazie alle crisi vissute, come insegna l’antifragilità di Taleb. 

Per permettere loro di dire, come ha fatto una abituata da anni soltanto a vincere: “sapevo che non potevo arrivare sul podio, ma essere in finale mi ha fatto fare tutte le vasche col sorriso”. E lei è la Divina, una che pure in tempi grami ha avuto bisogno del suo coach Daniele Popolizio.

 

Però permettetemi di finire questo piccolo pezzo pensando che la miglior mental coach di tutte le nostre olimpiadi secondo il mio modestissimo parere è stata la madre di Eseosa “Fausto” Desalu, malgrado non abbia potuto andare con lui a Tokyo perché doveva/voleva seguire la signora che ha in assistenza.

Forse a farlo arrivare dove è arrivato è bastato mostrargli cosa vuol dire lottare per la vita. E che premio ti dà quella vittoria.

 

Grazie a Dio la storia di mamma Veronica, in internet, almeno in questi giorni, non è difficile da trovare.

giovedì 25 giugno 2020

NUOVE PROPOSTE PER NUOVI SCENARI


Gli amici del gruppo didattica ludica hanno proposto ultimamente una serie di interessanti incontri su gioco, didattica e distanziamento tecnologico. Se la cosa vi interessa li potete seguire ancora in FB a partire dall’ultimo -e riassuntivo per la prima serie- incontro pubblicato in https://www.facebook.com/alessandra.carena/videos/10223484117162195/


Anche io ovviamente ho “subito” la mia parte di limiti esperienziali nel proporre ai clienti modelli di gioco e attività esperienziali varie via piattaforme virtuali. In parte sono riuscito a superarli attraverso un uso un po’ variato di gioco di ruolo mixato fra diretta visiva e chat; utilizzando giochi letterari; sfruttando alcuni modelli tipici di “tanti guardiamo o pensiamo e uno ci fa vedere/capire qualcosa (tipo i mimi per dire)” in ottica di comunicazione e ascolto attivo.


Ho perfino fatto giocare degli universitari della Scuola Sperimentale di Cinematografia a fare una gara fra inventori di gioco, divisi in breakout rooms, ottenendo in meno di un’ora risultati apprezzabili, vedi uno dei progetti qui sotto, sviluppato in sede di formazione relazionale e tecnica, nello specifico dedicata al Project Management, come evidenziato dalla tabella anch’essa allegata (per i non addetti al CSC Paolo Pelizza è il docente di Produzione nel corso triennale).




Tuttavia quello che mi ha acceso una lucina nell’ascoltare esperti della didattica ludica come Carena, Ligabue o Mari è stato notare come molti commenti fossero comunque riferiti a fenomeni e termini ludici convenzionali (tavolo, dadi, pedine, master…), esponendo gli approcci migliori su come usarli o non poterli usare in modalità di interazione digitale/virtuale.


La lucina è stata: ma non è che cerchiamo come si attaccano i cavalli davanti all’automobile?




Ricordo esperimenti assolutamente falliti quando si tentò, agli albori dell’elettronica, di trasferire pari pari giochi come Risiko! o Scotland Yard sui primi computer, falliti perché non si era capito che quelli erano nati PER STARE SUL TAVOLO ORIZZONTALE intorno a cui stanno i giocatori, mentre lo schermo del computer è VERTICALE e chi gioca gli sta davanti.


Ho passato anche un po’ di tempo a lavorare e ricercare dati e opinioni sulle generiche difficoltà e fatica di lavorare attraverso icone e non-persone, derivandone un minimo articolo che chi vuole può leggersi in https://drive.google.com/file/d/1eykgq0uFxyx47EpXW-tL8WNe4kIo0KoA/view?usp=sharing
 

Forse sarebbe il caso, visto che si stanno formando egregi think tank nel campo della didattica esperienziale e della formazione ludica, di dedicare ora consapevolmente un po’ di tempo e mente alla ricerca di un approccio al gioco formativo diverso da quello a.C. (ante Coronavirus) forse non più applicabile alle condizioni e situazioni create nel d.C.


Ma davvero diverso: non per dare risposte vecchie (che funzionavano prima) a domande nuove; non per usare strumenti vecchi (che prima funzionavano) in condizioni nuove, perché in queste forse non funzionano più.


Ormai nelle comunicazioni aziendali è dato per scontato che il processo blended (in parte analogico e in parte digitale) sarà inevitabilmente la modalità del futuro prossimo: perché non cominciare a passare anche noi da lì, per cominciare, progettando nuove modalità ludiche?

venerdì 15 marzo 2019

FORMAZIONE, SCIENZA ARCANA

Qualche giorno fa, per un'associazione di volontariato bolzanina che ritengo davvero all'avanguardia nella preparazione dei suoi associati, il Papavero der Mohn, ho sperimentato un nuovo -almeno per la mia esperienza- uso formativo di componenti e aggeggi ludici: la lettura degli arcani maggiori dei tarocchi in ottica di SWOT analysis (non vi sto a dire cos'è, se non lo sapete andate a cercare in wiki, e comunque mi sa che state leggendo un blog sbagliato), combinata al meccanismo del "cadavere squisito", gioco nato nei salotti surrealisti degli anni '20 (altra ricerchina in wikipedia?)

La cosa era partita dall'osservazione del fatto che a ciascuno degli arcani maggiori dei tarocchi vengono attribuiti significati di preveggenza o analisi del contesto personale abbastanza codificati e condivisi dal popolo dei "lettori del tarocco".
Quindi ho fornito ai partecipanti, collegati a coppie e/o triple una di queste carte con definizioni, chiedendo loro di  tradurle, tramite considerazioni personali, nel loro ambito lavorativo.


Ogni tot minuti ho  fatto poi scambiare le schede, chiedendo di aggiungere altre considerazioni a quelle scritte dai colleghi che avevano avuto quella carta prima (se condividevano la visione precedente), oppure di inserirne diverse, ma segnalando la distinzione col tirare una riga separatista fra i differenti approcci.

Dopo un po' di scambi ho fatto leggere ai vari gruppetti tutto il contenuto della carta-scheda rimasta loro in mano, frutto ovviamente dei vari scambi.

E successivamente, con tutte le annotazioni rielaborate in una sessione di follow up ho prodotto un piccolo mazzo di tarocchi virtuali consegnato a tutti i partecipanti.




 

lunedì 11 marzo 2019

GROWING BY GAME DESIGN



Chiara Alloggio, Michele Cavaglia', Carlo D'Urso, Francescosaverio Grimaldi, Maria Paola Isoppo, Letizia Miola, Veronica Natale, Gianluca Papa, Federico Passalacqua, Federica Petrone, Anna Pippo, Marta Rausa, Enrico Rodriguez, Paolo Simon, Anita Spangaro.

Chi sono costoro? Sono studenti in design industriale del Politecnico di Torino (più Alberto Ferraris, “clandestino” in quanto già laureato) che la scorsa settimana hanno lavorato per arrivare a inventare (disegnare, come dicono quelli fighi) 4 giochi studiati ad hoc per la formazione e la didattica.

Si sono beccati diverse giornate di info-lezioni da me e da Carlo Emanuele Lanzavecchia, Luca Borsa e Matteo Sassi, cercando di capire: cosa è un gioco, cosa sono formazione e didattica, come possono essere reciprocamente funzionali. Si sono impegnati, hanno ascoltato, hanno provato, a volte hanno sbagliato ma poi meditato sui loro errori. Ed hanno recepito (spero) che il game design probabilmente non rende dal punto di vista del guadagno diretto e semplice connesso al gioco commerciale, ma ha bellissime prospettive se lo si guarda in un’ottica differente e diversamente utile.

Il risultato lo vedete nelle foto allegate, che hanno costituito la “tesina” di fine workshop e che gli autori mi hanno ufficialmente autorizzato a pubblicare. Un lavoro che ha reso davvero orgogliosi tutti i tutor di
questo bellissimo lavoro, primo in testa Alessandro Dentis, coordinatore ufficiale universitario del tutto.

Ovviamente non possono che essere un incipit di progettazione, ma già irradiano luce su un sacco di grandi possibilità e sviluppi.




Alla faccia di quelli che dicono che i gggiovani non hanno voglia di fare una mazza…



 









lunedì 11 febbraio 2019

DIECI LEZIONI PER 5 EMOZIONI




Dieci Lezioni sulle Emozioni (cosa provano gli adolescenti e come aiutarli a scoprirlo con noi) di Enrico Castelli Gattinara, prezzo € 14,00, è un libro che racconta l'esperienza di questo docente con ragazzi adolescenti e  bambini. Che si potesse e dovesse lavorare sulle tecniche relazionali anche con chi "non ha l'età per la formazione manageriale" lo dico da tempo, e le esperienze straordinarie che da anni e anni in questo campo persegue Rosalba Silverio, mia amica vera e maestra vera, stavano lì a dimostrarlo anche prima che Giunti pubblicasse questo bellissimo saggio lo scorso anno.
Lavorare sulle emozioni serve, rifocalizzandone le componenti, in quasi tutti i campi formativi: dalla gestione dei conflitti a quella del tempo, dalla leadership alla delega, dal project management alla comunicazione efficace la ragione non basta se non la si considera circondata dalle emozioni, e questo libro ne parla in modo molto interessante.  
Un po' di post fa ne avevo già parlato collegandole al tema delle arti grafiche di Silvia Rossetti, proponendo di lavorarci in aula anche attraverso l'uso del gioco degli Haiku. Ma siccome l'ho fatto nel lontano marzo 2013, non pretendo che alcuno se ne ricordi e quindi vi riporto gli elementi essenziali del gioco che proponevo al riguardo. E che funziona magnificamente ad ogni età.


"Gli haiku sono piccole poesie minimali strutturate -come fanno sempre i giapponesi che sentono il bisogno di strutturare tutto- su due regole, ma strettissime e rigorose: la metrica deve rispettare i limiti di tre righe di rispettive 5, 7, 5 sillabe; e parlare di natura o di sentimenti/emozioni. Due esempi:



Serata in Sardegna    Sogno marino / annegato nel mirto / lontano da sé



Pomeriggio invernale       Quanto silenzio / la neve ti disegna / ali di foglie


La forza di questa espressione poetica è che lavorando su una sintesi obbligata produce di per sé suoni poetici, ermetici, emotivi, potenti. E risultati che ogni volta stupiscono gli stessi poeti.



Questa cosa (parlare di emozioni e stupirsi con la sintesi) mi ha portato ad trasferire l’haiku in formazione, organizzando un pohetic game nei seminari che parlano di intelligenza emotiva, nello specifico al punto in cui (seguendo la traccia del più famoso studioso del tema, Daniel Goleman) si parla della necessità di “gestire” le emozioni attraverso il linguaggio.


Il gioco funziona così:


  • date a ciascuno un' emozione magari visualizzata da una carta emoticon come quelle che vedete nella figura qui accanto.
  • date 15 minuti generali per creare in segreto e individualmente un haiku sull’ emozione definita dal proprio emoticon.
  • mostrate a tutti la lista completa di tutti gli emoticon possibili in gioco.
  • fate leggere le opere scritte e ogni volta fate identificare dai colleghi l’emozione espressa dal poeta di turno.
  • vince chi raccoglie più identificazioni, e in caso di parità chi ha scritto il pezzo più bello secondo la valutazione popolare.

 Poi ovviamente non dimenticatevi del de briefing…"