Gli amici del gruppo didattica ludica hanno proposto
ultimamente una serie di interessanti incontri su gioco, didattica e
distanziamento tecnologico. Se la cosa vi interessa li potete seguire ancora in
FB a partire dall’ultimo -e riassuntivo per la prima serie- incontro pubblicato in https://www.facebook.com/alessandra.carena/videos/10223484117162195/
Anche io ovviamente ho “subito” la mia parte di limiti
esperienziali nel proporre ai clienti modelli di gioco e attività esperienziali varie via piattaforme virtuali. In parte sono riuscito a superarli attraverso un uso un po’ variato di gioco
di ruolo mixato fra diretta visiva e chat; utilizzando giochi letterari;
sfruttando alcuni modelli tipici di “tanti guardiamo o pensiamo e uno ci fa
vedere/capire qualcosa (tipo i mimi per dire)” in ottica di comunicazione e
ascolto attivo.
Ho perfino fatto giocare degli universitari della Scuola
Sperimentale di Cinematografia a fare una gara fra inventori di gioco, divisi
in breakout rooms, ottenendo in meno di un’ora risultati apprezzabili, vedi
uno dei progetti qui sotto, sviluppato in sede di formazione relazionale e tecnica, nello
specifico dedicata al Project Management, come evidenziato dalla tabella anch’essa allegata
(per i non addetti al CSC Paolo Pelizza è il docente di Produzione nel corso
triennale).
Tuttavia quello che mi ha acceso una lucina nell’ascoltare esperti
della didattica ludica come Carena, Ligabue o Mari è stato notare come molti commenti
fossero comunque riferiti a fenomeni e termini ludici convenzionali (tavolo,
dadi, pedine, master…), esponendo gli approcci migliori su come usarli o non
poterli usare in modalità di interazione digitale/virtuale.
La lucina è stata: ma non è che cerchiamo come si attaccano
i cavalli davanti all’automobile?
Ricordo esperimenti assolutamente falliti quando si tentò,
agli albori dell’elettronica, di trasferire pari pari giochi come Risiko! o
Scotland Yard sui primi computer, falliti perché non si era capito che quelli
erano nati PER STARE SUL TAVOLO ORIZZONTALE intorno a cui stanno i giocatori,
mentre lo schermo del computer è VERTICALE e chi gioca gli sta davanti.
Ho passato anche un po’ di tempo a lavorare e ricercare dati
e opinioni sulle generiche difficoltà e fatica di lavorare attraverso icone e
non-persone, derivandone un minimo articolo che chi vuole può leggersi in https://drive.google.com/file/d/1eykgq0uFxyx47EpXW-tL8WNe4kIo0KoA/view?usp=sharing
Forse sarebbe il caso, visto che si stanno formando egregi
think tank nel campo della didattica esperienziale e della formazione ludica, di dedicare ora
consapevolmente un po’ di tempo e mente alla ricerca di un approccio al gioco
formativo diverso da quello a.C. (ante Coronavirus) forse non più applicabile
alle condizioni e situazioni create nel d.C.
Ma davvero diverso: non per dare risposte vecchie (che
funzionavano prima) a domande nuove; non per usare strumenti vecchi (che prima
funzionavano) in condizioni nuove, perché in queste forse non
funzionano più.
Ormai nelle comunicazioni aziendali è dato per scontato che
il processo blended (in parte analogico e in parte digitale) sarà inevitabilmente
la modalità del futuro prossimo: perché non cominciare a passare anche noi da
lì, per cominciare, progettando nuove modalità ludiche?
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