lunedì 26 novembre 2018

VIP, mio fratello superuomo (come diceva Bozzetto)



Ci sono giochi che nascono commerciali e arrivano alla formazione, altri che nascono come esperienza d’aula e diventano prodotti commerciali, e poi ci sono giochi che non a caso nascono con un occhio puntato su entrambi i target fin dall’inizio. 

Un po’ come Raccontami una storia di Gabriele Mari di cui ho parlato un’altra volta.

My Brother è uno di questi giochi bivalenti, non a caso sviluppato in collaborazione con L’Accademia Pedagogica Philos che dal 2004 offre, con tecniche psicoeducative avanzate nel campo dell’autismo, la presa in carico di soggetti con diagnosi di autismo, di tutto il loro nucleo familiare, dell’istituzione scolastica che frequentano e dei centri di riabilitazioni di riferimento.

Autrice è Irene Nappi, una designer uscita dal Poli di Milano; la casa editrice Demoelà di Genova; la principale consulente scientifica Simonetta Lumachi, psicologa e counselor.

Non a caso sia l’autrice che uno degli editori hanno avuto esperienza diretta in famiglia con problematiche quali epilessia e autismo.

Il meccanismo, strettamente cooperativo e comunque molto divertente, stimola i giocatori (che interpretano genitori e parenti di Eric, un ragazzo problematico) ad affrontare insieme le difficoltà della vita quotidiana -la carta inziale è un tipico trasloco che, come sanno tutti, dopo i funerali è la cerimonia più angosciante nella vita di ciascuno di noi (giuro, ci sono ricerche serie che lo confermano)- cercando di bilanciare il proprio livello di stress di con quello di Eric.
Si vince se dopo 11 mosse nessuno, soprattutto lui, ha ancora sclerato, altrimenti si perde tutti insieme.
Servono come nella realtà un po’ di fortuna, un po’ di sorrisi, e molta attenzione reciproca per non fare scoppiare nessuna pentola a pressione emotiva, seguendo il saggio consiglio che ogni hostess dà ad inizio volo: se ci sono problemi di ossigeno prendete per prima cosa la maschera per voi, se volete davvero aiutare qualcun altro.

Chi non ha voglia di leggere il pur semplice regolamento può trovare una attenta 
video-presentazione del tutto in https://www.youtube.com/watch?v=fhFa6o6NUl.

Siccome non è facile trovarlo nei negozi “normali” potete, sempre by internet, ordinarlo direttamente e pure con lo sconto a info@demoela.com (costa dai 17 ai 20 euro e li vale tutti)

sabato 3 novembre 2018

ALEA IACTA EST


Pochi giorni fa ho partecipato ad una interessante sessione su gioco e formazione proposta da AIF e erogata da Carlo Bianchi, un ludo pedagogista che da tantissimi anni vive e lavora in Francia. Al di là di alcune scoperte interessanti su come si sviluppa il gioco formativo oltralpe, nell'occasione è nata una discussione sul fatto che l’Alea, intesa come componente fondamentale di ogni gioco secondo il canonico Caillois (se non sapete chi è questo blog non fa per voi) insieme a Ilinx, Mimicry e Agon, secondo il Bianchi  l’Alea non ha possibilità di dare stimoli formativi o per lo meno lui onestamente ammette di non vederne. 

Io non ero d’accordo, ma questo non c’entra. Però la cosa mi ha stimolato a pensare (giusto per capire anche io) di scrivere questo post per vedere un po' se e come la fortuna ludica/reale incida sul lavoro e sulle possibilità didattiche che offre in ambito ludoformativo.


Punto primo: troppo facile pensare di considerare una didattica in tema di time management e project management dando per scontato che tutti gli elementi saranno definibili e prevedibili. Non succede mai, in realtà. 
Se andate a https://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-11-19/antifragile-evitare-eccessive-precauzioni-121759.shtml?uuid=Ab2rxQ4G&p=5, scoprite un articolo pubblicato sul Sole 24 a firma di Nassim Nicholas Taleb che parla proprio della necessità di imparare ad affrontare l’imprevedibile: l’antifragilità la chiama Taleb. 

Il succhissimo, e superficialissima considerazione derivata, è che più ci sforziamo di prevedere tutte le possibili realtà future più ci schianteremo contro quelle inevitabilmente diverse (i cigni neri che ci rifiutiamo di ipotizzare perché non sappiamo come saranno), e richiamando il mitico rasoio di Occam prospetta come attivazione di efficacia la semplicità contrapposta alla complicazione. 

Anche il principio di Peter a dire il vero affrontava questo argomento: se qualcosa potrà andare male lo farà, quindi meno cose di inseriscono nel progetto e meno potranno andare male. Ma state pronti perché qualcuna lo farà.

Punto secondo: in formazione esperienziale ludica quali componenti se non il dado, le carte o l’estrazione possono meglio simulare queste situazioni per imparare ad affrontarle? Se siete d’accordo su questo andiamo a puntualizzare -sempre in modo molto superficiale per carità- alcuni risultati auspicabili ottenibili dall’inserire la fortuna nel gioco d’aula.

Intanto il Culo (come dice Sacchi) riduce lo stress della sconfitta, e le persone scaricano sulla fortuna le proprie carenze strategiche e tattiche: partendo da questo principio si può lavorare abbastanza bene in debriefing su quanto i perdenti diano la colpa al caso infausto invece di analizzare cosa avrebbero potuto fare di meglio in base alle risorse avute. 
Magari non avrebbero raggiunto un risultato ottimale, ma probabilmente meglio di quello ottenuto si….

Tutti i giochi di carte, per definizione usano il modello di decisione strategica e tattica non in base al totale delle potenzialità ma in funzione di quel che la sorte manda, e più noi riusciamo a darci degli obiettivi coerenti con le risorse ottenute e meglio possiamo lavorare. Aggiungendoci il fatto che si gioca/lavora senza sapere esattamente cosa ciascuno dei potenziali concorrenti ha in mano, altro fattore aleatorio di cui si può imparare a tener conto.

Quanto ai dadi, se ne usiamo uno solo è vero che la legge dei grandi numeri non può essere considerata nella breve vita di una partita quale essa sia, tuttavia se cominciamo a usare più di un dado, ecco che le probabilità di ottenere alcuni risultati piuttosto di altri comincia a far parte di un bagaglio di competenze che possono rientrare nella didattica.

Esistono anche giochi informatici che si occupano della nostra propensione al rischio e ad analizzare come ce ne prediamo carico. Uno è semplicissimo ed efficacissimo, quello del palloncino da gonfiare senza sapere a quale pompata potrebbe scoppiare. “Il Balloon Analogue Risk Task (BART) è una misura computerizzata del comportamento a rischio . Il comportamento a rischio sul BART si correla con comportamenti di rischio reali quali consumo di alcool, consumo di sigarette e droghe, gioco d'azzardo, furto, sesso non sicuro , e caratteristiche di propensione al rischio. Questi dati suggeriscono che la BART potrebbe essere utile negli studi che valutano il comportamento nell'assunzione di rischi nel tempo, ad esempio trattamenti farmacologici, interventi o eventi che potrebbero modificare in modo fasico l'assunzione di rischi in diversi giorni di studio. L'utilità del BART per tali scopi, tuttavia, si basa sulla sua affidabilità test-retest.

Volete provarlo e poi usarlo in aula che lavorare coi vostri discenti sulla loro propensione a prendersi dei rischi lavorativi in base a termini non calcolabili? Andate a https://www.millisecond.com/download/library/bart/ e scoprirete cose molto interessanti.
Che io probabilmente ho scoperto anche un po’ per caso