Carissimi colleghi ed amici, ultimamente ho avuto un
soprassalto di insofferenza verso certe proposte formative esperienziali
vendute come marchio registrato, e di conseguenza come invenzioni originali da
parte dei proponenti.
Mi è venuta allora l’uzzolo di provare a definire
sinteticamente cosa sta sotto alcune di queste parole proposte come
grandi innovazioni (di solito da genii parauniversitari e non solo para
quello).
Approfondendone qualcuna: viene proposto da qualche anno
l’URBAN GAME® che sarebbe una caccia al tesoro in città, in una delle tappe
della quale potrebbe essere ottimamente inserita anche una tappa in negozi
gastronomici (!), tanto per fare una cosa fuori dalle righe rispetto ai solito
monumenti.
O addirittura inserendo una sessione di COOKING®: cioè farsi
da mangiare tutti insieme.
Poi si dice STORY TELLING® quando si raccontano storie che,
attenzione, ecco la novità, possono essere presentare come narrazione, come
piccoli video o addirittura come foto, più o meno selfie.
E non vogliamo parlare dei SERIOUS GAMES®? Prendo
direttamente da Wikipedia: sono giochi digitali che non hanno
esclusivamente o principalmente uno scopo di intrattenimento, ma contengono
elementi educativi (URKA!). Generalmente i serious game sono strumenti
formativi e idealmente gli aspetti seri e ludici sono in equilibrio. Al centro
dell'attenzione sta la volontà di creare un'esperienza efficace e piacevole,
mentre il genere, la tecnologia, il supporto e il pubblico variano. È difficile
trovare un netta distinzione dai giochi di intrattenimento, perché è spesso
l'uso del giocatore stesso che ne determina l'aspetto formativo.
Alcuni di questi giochi sono proprio brevettati, come LEGO
SERIOUS GAMES®, proposta non digitale ma sviluppata con i mitici mattoncini, la
cui connessione può portare didatticamente a raccontare poi una storia con i
pupazzetti allegati, che a sua volta rappresenti esperienze vissute dai
formandi.
Cosa che peraltro si può fare con molte altre cose anche
senza®, per esempio le cannucce da bibita colorate (questa la potrei fare mia,
e chiamarla SERIOUS STROW GAMES).
Ma al culmine di tutto questo movimento intellettuale ho
sentito dire che c'è il GAMING ®: un po’ il manifesto affisso alle porte della
cattedrale della formazione, il cui senso sta nell’usare il gioco per fare
formazione, roba mai sentita prima.
A cui si collega ovviamente la GAMIFICATION ®: usare il
gioco per stimolare qualcuno a fare qualcosa, tipo collezione punti, raccolta
figurine, citazione nella bacheca aziendale senza dovr usare stimoli o
incentivi di altra natura economica o gerarchiche.
Allora mi invento anche io un nome da registrare: Il
METAGAMING. E ci metto anche io un bel ® di
registrato.
Definizione ufficiale di MAD: roba che serve a fare
formazione esperienziale non attraverso una simulazione vicina al mondo
didattico in oggetto (come role play medico-informatore , per esempio, o
video-gioco-simulatore di azienda in crisi) ma più lontana possibile, anche se
solo apparentemente (come andare in canoa, giocare agli indiani o costruire
macchine con motore ad elastico). A voi andare a vedere cosa significa in
greco antico il termine meta...
Come mi capitò peraltro di scrivere in Met@forming (Dante
Alighieri editore, Roma 2009), elenco di ambienti metaforici utili al gaming e
alla gamification già in tempi in cui queste grandi proposte semantiche erano
ancora ai più incomprensibili.
Ah, dimenticavo, l’introduzione di questo libro cita
Aristotele. Per avvalorare i nuovo marchi di solito si citano Dilts,
Rogers, De Bono, Covey e magari Goleman.
Pochi fanno riferimento a Platone, inventore della
facilitazione dialettica, o al succitato Aristotele, padre della
categorizzazione.
Ma come dice un mio amico" oggi il classico non va più. Faceva pensare..."