domenica 22 settembre 2013

UN LUPO MANNARO CIVITAVECCHIESE A LUCCA

L'occcasione: festeggiare il decennale di LUPUS IN TABULA  a Lucca games e il suo autore Domenico di Giorgio (da Civitavecchia). 
La connessione: l'uso di questo gioco, ormai classico, in formazione. 
Diciamo formazione mannara.



Sappiamo, se stiamo leggendo questo blog, che in formazione si possono usare i giochi in molti modi e con diversi obiettivi. Se non lo sapessimo e fossimo capitati qui per caso riassumiamo un attimo.
Un primo modo è quello di utilizzare alcune componenti di un prodotto commerciale non modificato in nulla per sottolineare quanto e come i partecipanti al corso di formazione in questione siano abili ad usare determinate competenze.

Facciamo un esempio con qualcosa che tutti conoscono: il gioco della scopa con le carte. Se vogliamo possiamo analizzare una competenza soft meccanica come la memoria interrompendo ogni tanto la partita e chiedendo al “giocatore on focus” quante carte di un certo tipo sono già state usate, e da chi. Se volessimo analizzare la capacità di analisi strategica, dovremmo chiedergli in uno di questo pit stop formativi come stanno messi i punteggi, come prevede si possa evolvere la partita, come si stanno relazionando le coppie. A proposito di coppie: sempre tramite un’analisi strutturata si può provare a vedere come le coppie in gioco si relazionano, come reagiscono agli errori del compare, come si supportano a punteggi fatti in caso di vittoria o di sconfitta, e così via.


     Un secondo modo è quello di prendere un meccanismo preesistente e già calibrato nella storia del gioco ed elaborarne alcune componenti per uno scopo definito: sempre nel caso della scopa, si può strutturare un certo periodo, dedicato ad analisi e creatività prima della partita, per fare creare alle coppie un linguaggio che risulterà quindi incomprensibile agli avversari; per poi farlo usare nel gioco, e analizzare poi quanto un codice di comunicazione condiviso e compreso da un gruppo possa facilitarlo nel confronto con gli avversari o col lavoro in sé.



     Un terzo modello d’uso potrebbe essere quello di fare sviluppare alcuni elementi fisico-grafici ai giocatori in modo  da collegare quel gioco ad una definita e specifica realtà lavorativa: preso un normale mazzo di carte francesi, si possono fare ad esempio ridisegnare le figure e i valori numerici concordando in un brain storming ftra tutti i giocatori-dipendenti aziendali la corrispondenza fra i suddetti valori ed elementi lavorativi reali: cosa corrisponde al sette bello? La leadership nel settore? Cosa al due di picche, la procedura burocratica? E così attraverso la discussione e il disegno si ottengono spesso delle interessanti razionalizzazioni di visione comune. Inoltre, giocando poi realmente con quelle carte,  la creazione di ancore mnemoniche legate a cose, persone e fatti può facilitare l’apprendimento nell’immediato e concreto futuro lavorativo.


LUPUS IN TABULA ovviamente  non sfugge a questa interessante possibilità formativa.

Sintetizzandone e liofilizzandone le regole, possiamo intanto identificare alcuni elementi-comportamenti molto utili al fine del nostro discorso.

Il gioco in generale  si basa su quattro concetti: tenuta rispetto allo stress, intuizione-deduzione, capacità oratoria e visione strategica, quest’ultima soprattutto quando si gioca in tanti.


Piccolo inciso: in Lupus un elemento di per sè spesso negativo, quello di dovere essere in molti per giocare, in aula di formazione si trasforma in positività: non ci sono infatti molti giochi che permettano, salvo la creazione di gruppi legati allo stesso partito-pedina, di giocare quando si hanno molti discenti.


Ma vediamo nello specifico cosa potremmo farci con questi elementi, ricordando innanzitutto che in un’aula di formazione, per quanto esperienziale, il formatore dovrebbe mantenere sempre una posizione di facilitatore-osservatore, astenendosi dal partecipare all’azione, dal favorire qualcuno e dal farsi coinvolgere in eventuali discussioni.

Anche se in Lupus esiste la figura del master non giocatore, questa dovrebbe comunque essere, se possibile a rotazione, gestita in modo da facilitare a sua volta l’analisi di competenze esplicitate durante il gioco.


A proposito  della capacità di intuizione-deduzione: molti credono che questa sia un dono quasi magico, di quelli piovuti dal cielo e da cui alcuni sono per scelta divina illuminati.  In realtà, come insegnano anche Conan Doyle e Cartesio, intuizione e deduzione sono due aspetti della stessa medaglia relazionale, quella dell’ascolto e dell’osservazione. Descartes (nome originale del filosofo francese ma anche, guarda caso, della più antica e famosa casa editrice di giochi “intelligenti” francese, e importante catena di vendita) riassume il suo metodo di analisi filosofica sotto forma di quattro precetti molto generali: 1. (regola dell’evidenza) Devono essere accolte come vere solo le idee che si presentano alla nostra mente in modo chiaro e distinto. 2. (Regola dell'analisi) Suggerisce di "dividere" ogni problema o "difficoltà" nelle sue parti elementari. 3. (Regola della sintesi) Disporre i propri pensieri secondo un ordine che procede da una complessità minore a una maggiore. 4. (Regola dell'enumerazione completa) Verifica.

La certezza della conoscenza si fonda sull'evidenza dell'intuizione e sul rigore della deduzione.

Questo metodo si mostra particolarmente idoneo a essere impiegato in matematica, ma ovviamente anche nel nostro gioco formativo, considerando che dalla corretta analisi delle impressioni e dei dati si chiede di diventare responsabili del linciaggio di uno dei colleghi di avventura. Mentre fuor dalla metafora ludica, spesso si è responsabili di scelte aziendali che potrebbero avere conseguenze se non uguali, almeno molto vicine a quella succitata, però nella realtà invece che nel gioco.


La capacità oratoria. Se è vero che la retorica è l'arte di parlar bene (in greco ητορικ τέχνη, rhetorikè téchne, «arte del dire») è anche la disciplina che studia il metodo di composizione dei discorsi, ovvero come organizzare il linguaggio secondo un criterio per il quale a una proposizione segua una conclusione. Lo scopo della retorica è la persuasione, l’approvazione della tesi dell'oratore da parte di uno specifico uditorio. Diciamo che è la base della persuasione, la quale a  sua volta si potrebbe definire  come fenomeno  emotivo di assenso psicologico. E questo modello di retorica assertiva è straordinariamente importante da valorizzare quando si lavora, soprattutto nel lavoro di gruppo.

In Lupus essere capaci di convincere gli altri può salvare la vita, fare vincere la partita, e ai nostri fini può per può essere in parallelo uno strumento decisamente importante per la crescita nel lavoro.

Può permetterci soprattutto di analizzare come abbiamo approcciato la convinzione dei compagni-avversari su chi sia l’uomo lupo attraverso un adeguato debriefing di auto ed etero valutazione, e può essere quindi un’ottima base formativa.

C’è anche chi ha elaborato un modello di osservazione di questo meccanismo relazionale ludico utilizzandolo al fine di analizzare differenze culturali fra giocatori di nazioni diverse,
(elearning.unistrapg.it/.../Strategie%20di%20difesa%20dalle%20accuse)  ma aggiungerei che lo si potrebbe usare per osservare le differenze fra giocatori di estrazione formativa diversa: ingegneri vs sociologi, matematici vs commerciali eccetera.

L’analisi della capacità oratoria-persuasiva può anche essere uno strumento di crescita quando si vuole lavorare sulla leadership: è evidente che una buona guida di gruppo deve sapere parlare,ascoltare, convincere sia sul piano razionale che su quello emotivo.


Quanto alla visione strategica, questo meccanismo di analisi, discussione, ripresa di indizi, di nuovo analisi della situazione modificata e così via è senza dubbio parificabile a quella lavorativa dove ad ogni azione le componenti del quadro si modificano, cambiano in modo palese o occulto i ruoli e le responsabilità degli attori, si deve riqualificare uno scenario ogni volta con la consapevolezza di dover superare anche convinzioni elaborate in precedenza.

La ricerca di alleanze di cui non si hanno dati certi per obiettivi finali o relazioni richiama anche un po’ la modalità del famoso dilemma del prigioniero, in cui si deve cercare di raggiungere il miglior risultato possibile in assenza di comunicazione o almeno comunicazione credibile. In Lupus la comunicazione c’è, ma in fondo è come se non ci fosse, dato che per definizione non si sa chi mente e chi dice la verità.


Qui vorrei riprendere anche l’elemento già citato della leadership, focalizzando l’attenzione sulla figura del master in quanto giocatore non giocatore. Gli stili di leader possono essere con facilità evidenziati proprio lavorando su questo ruolo: come gestisce l’azione nel momento in cui controlla i lupi, come abbassa i toni della discussione, come finalizza il gioco in ottica anche di divertimento. Come organizza la comunicazione fra quelli che possono parlare e quelli che non possono. Come gestisce il suo ruolo di consapevolezza degli elementi sconosciuti ai compagni colleghi (quante volte un capo non può dare certe informazioni ai collaboratori…)

A proposito di comunicazione, un buon metro di valutazione sulla sopportazione dello stress passa anche attraverso la regola che impone ad alcuni giocatori di partecipare al meccanismo generale, però senza parlare. E allora si possono scoprire quanto possono comunicare anche involontariamente certi silenzi.


Altro elemento di stress ludico su cui i giocatori possono sperimentarsi a livello formativo è la fase di buio, quella in cui è obbligatorio chiudere gli occhi, non poter vedere cosa succede, per di più sapendo che qualcun altro invece sta vedendo. Questo in effetti secondo me è uno degli elementi emotivi più riusciti del gioco, che non a caso richiama il tema gotico dell’horror licantropico.

E che ad un buon ludo progettista formativo non può non richiamare la condizione di incertezza che in tante aziende si vive quando la comunicazione è distribuita in modo non uniforme e condiviso.


Tutte le considerazione che ho fatto finora sono, credo, ragionevolmente credibili se orientate in ottica di valutazione ed autovalutazione. Ma come si possono sfruttare in orientamento più decisamente di empowerment?

Facilissimo: basta fare una partita, sviluppare un buon debriefing di analisi di quanto accaduto - chi ha vinto – perché ha vinto, lasciare un adeguato tempo di elaborazione e quindi passare ad una nuova partita, magari con ogni giocatore titolare di un foglietto-fioretto in cui si impegna di fare più attenzione a determinati comportamenti e alla loro applicazione più funzionale.

Il ciclo del più classico esperienziale secondo il metodo Kolb.

So che c’è chi fa queste cose videoriprendendo il tutto, per facilitare l’analisi: è un modello senza dubbio efficace, ma molto lungo e non è detto poi che la ripresa renda esattamente comunque tutte le fasi dell’azione. Io personalmente sono più favorevole ad uno scambio di valutazioni incrociate sul proprio comportamento e su quello dei compagni di gioco, il che permette di lavorare su tutto quello che si ricordano ma anche su quello che non ricordano (e che il formatore dovrebbe invece avere notato avendo un ruolo come detto di osservatore non coinvolto) e sul perché di questa dimenticanza.


Credo che su questo davvero bellissimo prodotto creativo si potrebbero fare molte altre considerazioni, che qui non hanno spazio e che io magari non sono in grado di elaborare. Ma penso che lo scopo di questo contributo sia al di là di tutto stimolare ad accorgersi di come questo gioco (come molti altri giochi, peraltro) in quanto simulazione di una realtà e di una serie di relazioni possa aiutare a crescere. E a farlo in modo divertente.




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