Leggo,
stimolato dall’amico Riccardo Carreri, un pezzo uscito sul Corriere on line di
Barbara D’Amico, di cui riporto l’incipit:
“Se vi state candidando per un posto in una
start-up innovativa non preoccupatevi troppo del vostro curriculum, invece
allenatevi con un Risiko o un Monopoli. Alcune tra le più promettenti aziende
italiane, infatti, adottano sistemi alternativi al classico recruiting
aziendale per trovare nuovi dipendenti. Uno dei modi più estremi è quello
adottato da Friendz, l’app che permette di guadagnare abbinando il proprio selfie a un brand:
la startup italiana è nata solo questa primavera ma sta riscuotendo così tanto
successo da aver costretto il giovane team ad assumere nuove leve. Come
riuscire a selezionare in fretta i candidati più adatti? Semplice: chiedendo
loro di entrare in una stanza piena di enigmi e di trovare la soluzione per
uscire in meno di un’ora.”
Ora, sono
lieto di leggere per una volta un articolo che parla di formazione
esperienziale senza prendere per il sedere chi la eroga o chi la subisce.
Tuttavia mi vengono spontanee un paio di ponzate: perché uno dei più estremi?
La formazione esperienziale da molto tempo usa già i giochi di ruolo, live e
non, per fare crescere o selezionare persone d’azienda. Ma come ormai di regola
accade la novità sta nel nome dell’attività, Live Game, perché sennò il concetto
di fare formazione per aziende tramite un gioco di ruolo era da tempo noto e
usato.
La
giornalista sembra non sapere di questo pregresso e lancia la cosa come grande
novità, senza tuttavia minimamente soffermarsi sul tema dell’analisi dei
bisogni necessaria a priori, della targhettizzazione delle capacità o
competenze che attraverso questo approccio si possono elaborare (problem
solving, team working ecc.) o della
necessità di rielaborare a posteriori il risultato delle attività svolte nella
camera. In fondo sarebbe bastato un giretto in internet, magari accedendo al
portale della formazione esperienziale (www.formazione-esperienziale.it/), per essere un po’ più informati.
Si scrive di formazione solo se c'è la novità nel nome e nel
colore con cui si può dipingere parlandone, pochissime volte per il contenuto funzionale. Perchè ormai in formazione se si vuol vendere quel che conta è soprattutto il brend-novità: io e
diversi altri facciamo da venticinque anni qualcosa di molto simile senza
bisogno di stanze ad hoc, ma -vorrei aggiungere- di solito con l’assistenza di
psicologhe abilitate all’assessment, in previsione di altre necessarie sessioni
di formazione specifica, magari con in mezzo un pò di coaching individuale e di
gruppo.
Ma se si continua così pure questa delle escape room mi sa che resterà un altro celebrato
esempio di folklore formativo -come per esempio la famosissima passeggiata sui
carboni ardenti (pardon, fire walking)- a rafforzamento dell’idea che hanno già
molti partecipanti: la formazione considera il lavoro come un gioco, “e invece noi lunedì si torna in azienda”.
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