Son passati quattro anni da quando scrissi il
mio primo post “le lacrime di Olimpia”, peraltro incredibilmente molto scaricato. Me lo sono riletto e confermo
quanto allora ho avuto modo di dire. Ora che son più maturo posso riprennderlo aggiungendo qualche altro
elemento al tema , prendendo spunto da una frase sentita in “tutti convocati” di Radio 24,
pronunciata dal mitico Zorro Zorzi, che riporto spero fedelmente:
“nello sport
si scende in campo per vincere, tutto è nero o bianco, o vinci o perdi. Giusto
così. Sarebbe però importante che ci si ricordasse che questo valore di
orientamento al risultato dovrebbe valere solo in quel campo. Una volta usciti
di pedana si rientra in un mondo di grigi.”
Sono anni che vado dicendo in aule e salotti che prendere spunto dallo sport nell’ambito della formazione
esperienziale relazionale è molto pericoloso.
Nello sport vinco se qualcuno perde, anzi se riesco a far
perdere qualcuno. Il pareggio è una sconfitta per entrambi. Anche arrivare
secondi è consolante solo in funzione di qualcun altro che è arrivato terzo,
altrimenti si è ultimi e perdenti. A volte non consola nemmeno quello.
Graziaddio nella vita non è così, o almeno potrebbe non esserlo.
Il risultato migliore dovrebbe essere calcolato sulla valutazione delle proprie
possibilità, e sul cercare di superare quello, non qualcuno. Per certi aspetti
arrivare primo se non si è fornita la prestazione attesa non dovrebbe essere
affatto soddisfacente.
Il pareggio in molti casi è il miglior risultato possibile,
come diceva anche il buon vecchio Brera ai suoi (e miei) tempi: la partita
perfetta finisce zero a zero perché la difesa ottimale contrasta ottimamente l’attacco
ottimale.
Certo magari in quest’ottica non scorre tanta adrenalina come
quando si lotta con qualcuno invece di qualcosa, e infatti le motivazioni di certi guru delle vendite
sono tutte sul forzare il concetto di “tu sei migliore di lui”. Ma alla fine
di numerose discussioni fatte sul tema resto ancora della mia
idea: se tutti, in azienda come in famiglia e come in strada, sapessimo
identificare un risultato da raggiungere senza considerare chi si deve battere
per farlo o addirittura cercarlo (e in questo la teoria dell’Oceano Blu mi
conforta) credo che le performance di tutti potrebbero essere migliori.
Non a caso molti coach di sport essenzialmente di testa come
il tiro con l’arco chiedono ai loro atleti il non concentrarsi sui concorrenti (che identificano
come forza deviante dal successo) ma solo sul bersaglio.
Ecco, questa è una delle poche metafore che mi pare funzionale alla
formazione esperienziale sportiva.