lunedì 9 gennaio 2017

Come eravamo



Inizio questo 2017 (che il diavolo si porti il 2016) con il riferire un post del mio amico, docente ludico  ed esperto di giochi Paolo Fasce*. Lo cito quasi integralmente –quasi perché Paolo lo propone in un focus di discussione contro le patologie dell’azzardo, argomento nobile e interessante ma un po’ lontano dai miei specifici obiettivi di blog- perché a me ha fatto pensare anche in quell'ottica di gioco come strumento di crescita legato al fattore relazionale che tanto spesso usiamo per dare senso alle nostre formazioni ludiche esperienziali. 
La relazione come soluzione per certe patologie intellettive, che non si limitano a irretire solo quelli che usano le slot machines, ma spesso anche quelli che usano un computer per lavoro tout court





“Ricordo quando ero ragazzo (sono della leva del 1967) e andavo a giocare al bar coi giochi elettronici. Si erano appena affiancati ai vecchi flipper che, pieni di luci e suoni, avevano ancora il loro fascino, mentre il calcio balilla non mancava nei bar delle spiagge. La filosofia di tutti questi giochi era quella dell’ “insert coin”. Inserendo una moneta da cinquanta lire, compravi del tempo-gioco e tale tempo era tanto più esteso, quanto più diventavi bravo. Ricordo “Asteroids”, un gioco nel quale governavi un triangolino che rappresentava una sorta di capsula spaziale, col quale potevi sparare su enormi asteroidi che, colpiti, si dividevano a metà, poi ancora a metà, fino a sparire. E poi “Space invaders”, dove una inizialmente lenta, ma accelerante legione di alieni si avvicinava alla tua base, facendo piovere proiettili che dovevi evitare mentre tu sparavi all’impazzata colpi verticali parzialmente al riparo da protezioni che, pian piano, venivano spazzate via dai colpi. E poi Pac Man e gli infiniti altri successori. La logica era tuttavia sempre quella: paghi cinquanta lire e giochi finché non muori.
Oggi tutto è cambiato. Non muori mai. Cioè, invero muori, ma hai infinite vite, quindi è lo stesso: non muori mai. La filosofia dei giochi elettronici, specie quelli sui tablet e sugli smartphone è quindi completamente diversa. Lo scopo del produttore di questi giochi è quello di catturarti e lo fa intrattenendoti, divertendoti, tenendoti legato al gioco stesso con effetti speciali sempre diversi, con appuntamenti di breve, medio e lungo periodo. In tutti questi giochi sono sollecitate, secondo diverse gradazioni, risorse cognitive e strategiche. Si gioca davvero, ma le decine di micro-obiettivi che ti vengono posti sono raggiungibili con ore e ore di gioco, oppure con qualche scorciatoia a pagamento. Nessun problema, siamo tutti maggiorenni e possiamo decidere come spendere i nostri soldi, in genere si sbloccano i livelli con pochi euro e la situazione non è diversa dai vecchi videogiochi, se non fosse per la filosofia sottesa. Quarant’anni fa, finivi i soldi, finiva il gioco. Facevi dell’altro. Leggevi un libro, facevi i compiti, andavi per strada a giocare a pallone, incontravi gli amici. 
Ma alla base è un vero gioco??

O si tratta, in buona sostanza, dello stesso meccanismo ipnotico del gioco d’azzardo, una coazione a ripetere che insiste su qualche debolezza fisiologica del cervello umano, trasformando quest’attività in patologia. Come opporsi?  Usando quei giochi in cui si incontra il limite nell’altro, in quanto necessitano di una relazione.”

La filosofia del gioco (elettronico) di paolo Fasce
In fondo alla pagina a destra (anche se dice non trovata)

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