
Inizio questo 2017 (che il diavolo si porti il 2016) con il
riferire un post del mio amico, docente ludico
ed esperto di giochi Paolo Fasce*. Lo cito quasi integralmente –quasi perché
Paolo lo propone in un focus di discussione contro le patologie dell’azzardo, argomento
nobile e interessante ma un po’ lontano dai miei specifici obiettivi di blog- perché
a me ha fatto pensare anche in quell'ottica di gioco come strumento di crescita
legato al fattore relazionale che tanto spesso usiamo per dare senso alle
nostre formazioni ludiche esperienziali.
La relazione come soluzione per certe
patologie intellettive, che non si limitano a irretire solo quelli che usano le
slot machines, ma spesso anche quelli che usano un computer per lavoro tout
court

Oggi tutto è cambiato. Non muori mai. Cioè, invero muori, ma hai infinite vite, quindi è lo stesso: non muori mai. La filosofia dei giochi elettronici, specie quelli sui tablet e sugli smartphone è quindi completamente diversa. Lo scopo del produttore di questi giochi è quello di catturarti e lo fa intrattenendoti, divertendoti, tenendoti legato al gioco stesso con effetti speciali sempre diversi, con appuntamenti di breve, medio e lungo periodo. In tutti questi giochi sono sollecitate, secondo diverse gradazioni, risorse cognitive e strategiche. Si gioca davvero, ma le decine di micro-obiettivi che ti vengono posti sono raggiungibili con ore e ore di gioco, oppure con qualche scorciatoia a pagamento. Nessun problema, siamo tutti maggiorenni e possiamo decidere come spendere i nostri soldi, in genere si sbloccano i livelli con pochi euro e la situazione non è diversa dai vecchi videogiochi, se non fosse per la filosofia sottesa. Quarant’anni fa, finivi i soldi, finiva il gioco. Facevi dell’altro. Leggevi un libro, facevi i compiti, andavi per strada a giocare a pallone, incontravi gli amici.
Ma alla base è un vero gioco??
O si tratta, in buona sostanza, dello stesso meccanismo
ipnotico del gioco d’azzardo, una coazione a ripetere che insiste su qualche
debolezza fisiologica del cervello umano, trasformando quest’attività in
patologia. Come opporsi? Usando quei
giochi in cui si incontra il limite nell’altro, in quanto necessitano di una
relazione.”
In fondo alla pagina a destra (anche se dice non trovata)
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