Il ciclismo, in quanto sport e cioè gioco, è forse insieme
alla corsa uno dei meccanismi meno complicati che esistano. Al di là delle
modalità di classifiche, specializzazioni eccetera, sembra si tratti semplicemente
di pedalare più veloce degli altri e per più tempo.
A differenza però della corsa a piedi -salvo pochi
casi come la staffetta- in bici nelle grandi classiche a tappe si corre in squadra e all’inizio non capivo proprio
il senso della cosa, tanto i punti si prendono individualmente, vince Nibali, mica l’Astana. Allora perché partecipano in 160? Perché le squadre sono fatte da 15 e più elementi?
Poi un po’ alla volta, seguendo il Giro non tanto per lo spettacolo
sportivo (che rimenane al 90% pallosissimo secondo i miei personalissimi
canoni) quanto per il piacere di vedere luoghi altrimenti quasi invisibili per il viaggiatore
normalmente autostradale, ho cominciato a capire qualcosina di più.
Per esempio, su come funziona e perché esiste la squadra,
come si relazionano i gregari rispetto al campione-capitano, le remunerazioni a
cui questi “peones”possono aspirare, visto che tanto alla vittoria finale non
possono guardare. Il senso e la speranza per ciascuno dei 160 di vincere qualcosa
come una tappa o una maglia di
specialità (montagna, coraggio, iniziativa ecc.). Il senso del perché qualcuno pedala
davanti tagliando l’aria a chi lo segue a ruota e facendo meno fatica. Ho
cominciato a capire perché si creano, vedendole anche dall’alto e grazie ai
colori delle maglie, certe formazioni tipo volo d’anitra, oppure a ventaglio,
davanti o dietro al gruppone, contro o a favore di vento…
Insomma, se la regola base per ciascuno dei tanti è unica
-appunto pedalare di più e meglio- la strategia per permettere ai leader di
vincere è molto più articolata e complessa di quanto sembri.
E poi ho scoperto una tipologia di gara che mi ha
illuminato, meta-formativamante parlando: la
crono a squadre. Credo che sia uno degli esempi di metafora di lavoro di gruppo più efficaci mai incontrata.
Per i pochi che non lo sapessero, funziona così: ogni
squadra ha nove “giocatori-lavoratori”, che corrono in concorrenza con gli altri
team facendo lo stesso percorso. Ogni pedalatore ha capacità, fama, fisico e specializzazioni
diverse, per le quali è stato scelto dal team manager. Il valore di un team è
dato dal poter disporre di una differenza di competenze il più possibile
allargata e d’eccellenza: una squadra fatta solo da ottimi scalatori non vincerebbe
mai il titolo finale.
I team partono scalati di qualche minuto uno dall’altro, e il loro tempo si
prende sul quinto arrivato di ogni team, e quel tempo vale per tutti e nove,
anche per quelli che eventualmente non sono arrivati fino in fondo o ci sono
arrivato mezz’ora prima.
Quindi c’è chi tira all’inizio, facendo risparmiare energie agli
altri che lo seguono allineati e coperti, fino a scoppiare, consapevole che
quello è il suo ruolo e tempo. Lungo il percorso ci si dà il cambio davanti, ci si alterna, si
danno consigli e supporti, perché nel tratto finale si deve/basta arrivare almeno in
sei: cinque per poter prendere i punti dalla gara, più uno perché se qualcuno
forasse qualcun altro deve pur fare il quinto. Tutti
corrono a testa bassa facendo il proprio diverso dovere rispetto alle decisioni
strategiche prese prima della partenza, ma osservando continuamente lo stato di
forma dei compagni-colleghi, perché se qualcuno molla tutto il team non ha più
possibilità di raggiungere l’obiettivo comune.
Occorre fidarsi del fisico e del morale di tutti gli altri,
e una volta partiti, ti siano simpatici
o no, si devono supportare e reinserire nella formazione se sbandano o restano
indietro: e nessuno può permettersi di fare il figo, perché se scatta da solo
spende energie e non è utile né a se stesso né agli altri.
Vi ricorda qualcosa?