lunedì 12 ottobre 2015

Esperti e non esperti: l'inciampo del cigno nero




Spesso mi trovo nella condizione di ricevere domande di lavoro sulla base della mia supposta condizione di esperto nel campo ludico. A cui rispondo che se proprio mi si vuole valorizzare sarebbe più corretto definirmi un non esperto nel campo ludico, ma anche in quello formativo.
 
Spiego: ho visto formatori espertissimi usare i giochi in modo sbagliato, perché (soprattutto devo dire i coach-formatori) non riescono a restare “fuori dal campo” nel momento in cui si gioca, invadendolo con osservazioni che ne inficiano la validità esperienziale. Come ho visto esperti di gioco (ma questo vale per tutti gli esperti di settori esperienziali quali guide, speleologi, botanici, rafting trainer e via dicendo) che focalizzandosi troppo sugli elementi ludici non riescono a mantenere il focus sul senso di quel che si fa: un’attività che serve non ad imparare  strategie di risiko ma a crescere in azienda.

E mi aiuta in questa riflessione il buon Taleb, autore del modello filosofico del cigno nero (Il cigno nero (titolo originale The Black Swan) è un saggio filosofico/letterario dell’epistemologo ed ex trader Nassim Nicholas Taleb, docente di scienze dell’incertezza).
Il cigno nero, la rara avis dei Romani, è l’evento imprevisto e imprevedibile che arriva quasi inevitabilmente e che fa saltare le predizioni scientifiche.
Taleb sostiene, fra altre cose, che la proposizione "sappiamo", non sempre è utile al raggiungimento di un obiettivo; quando si deve approfondire un tema l’esperto serve, meno quando si affronta un modello ignoto o diverso dal canonico, un cigno nero appunto. 
Questo concetto di “non sapere, non essere esperti” è databile almeno fino ai tempi di Socrate, secondo me il fondatore con la sua maieutica del concetto di formazione e didattica. 
So di non sapere, e quindi sono in grado di concedere una possibilità anche a quello che va al di là della scienza.
Ponendosi contro chi ritiene che il progresso della scienza abbia reso il mondo perfettamente spiegabile, Taleb sostiene che, pur essendo vero che la scienza incrementa la conoscenza, esiste piuttosto spesso l’occasione di incontrare situazioni improbabili e rare, con il rischio di essere limitati proprio da questa conoscenza ed esperienza. 

Taleb a questo punto mette in dubbio quindi l'autorità assoluta degli esperti: dato che la verità dietro la scienza è limitata, così come il metodo scientifico, il potere conferito ad un tecnico o a uno scienziato da un diploma o una laurea dovrebbe essere a volte messo in discussione: l'autorità può soffocare l'esperienza empirica, anche quella che, tante volte, ha dimostrato di avere una base solida ma che non può valere in assoluto e per sempre.

Altrimenti si rischia di ricadere nel famoso –e limitante- detto “se non lo ha mai fatto nessuno, vuol dire che non si può fare”

2 commenti:

  1. Signor Donadoni, trovo le sue parole esantematicamente rivelatrici. Quasi come una corda che si spezza nell'attimo decisivo dell'eterna lotta tra conoscenza e conoscente, tra investimento e investitura, tra falsamente e falsa mente. Insomma, come avrebbe detto il caro Ernst Kumlitz, un mio amico dell'asilo, esperire est perire, sed cognoscere est coglioscere.
    Distinti saluti e un grazie per le belle parole che ha speso verso la mia terra. Un vero appezzamento.

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