Questo post è minimalista e vuole solo segnalare un video trovato stamattina nella mia pagina iniziale di Google. il link è http://www.youtube.com/watch?v=RrZdXHM2uBA&feature=youtube_gdata
La meditazione non c'è e la lascio a chi ha voglia e tempo di leggere queste righe.
Anzi no, solo due pensierini.
Primo: riprendendo un post di qualche giorno fa: si può fare educazione coi giochi? Credo evidente che la risposta sia si, in molti modi. Basta stare attenti a quello che sta fra le righe, e non parlo di subliminalità...
Secondo: i giochi orientati in qualche modo all' edutainment (Educational Entertainment) stanno cominciando a diventare argomento di discussione allargata, e questo può essere solo un bene.
A proposito di edutainment, non possiamo esimerci dal salutare una persona che a questo obiettivo ha comunque dedicato tutta la vita (oltre a creare un piccolo impero editorial ludico e una dinastia di ottimi manager tramite figli e figlie), che ci ha lasciato pochi giorni fa: il grande vecchio del gioco italiano Mario Clementoni.
Anche se queste pagine sono più indirizzate al concetto di educazione e formazione adulta, non possiamo dimenticare quello che la Clem ha fatto per i bambini italiani e non in anti anni, e non solo col mitico Sapientino.
Arrivederci grande Mario.
Pensieri, stimoli e riferimenti fra gioco e formazione d'aula da parte di Marco Alberto Donadoni, detto MAD
mercoledì 24 ottobre 2012
martedì 23 ottobre 2012
AVATAR
Qualche giorno fa Ludovico Pasini, detto Dudo Dado Pensante,
amico e collega, mi chiede se ho qualche idea per un gioco di ruolo formativo, centrato sul tema del locus of control, da proporre a una ventina di aziendali. Come
dice Luca Saita in un suo illuminante articolo (http://lucasaita.it/locusofcontrol.html),
il locus of control corrisponde al modo nel quale una persona percepisce se stessa
rispetto al controllo degli eventi. Un locus "esterno" scarica sul
destino o sugli altri la responsabilità di quanto accade. Un locus
"interno" vede invece il soggetto molto più indirizzato a considerare
il destino come un effetto delle proprie azioni, e quindi una variabile
controllabile. Insomma il controllo interno porta dritto alla famosa massima
latina: cuisque faber fortunae suae (ognuno è artefice del suo destino).
Il Dudo ipotizza –correttamente, secondo me- che un gioco di
ruolo possa sviluppare un ambiente formativo esperienziale adatto al tema: dato un master che gestisce un’avventura
ragionevolmente semplice, le modalità di approccio ai problemi e alla relazione
da parte dei partecipanti permetterebbero ad alcuni osservatori all’uopo
posizionati in aula di analizzare e poi riportare in debriefing, tramite
oggettiva analisi dei comportamenti agiti nel gioco, le tendenze di ciascuno ad
attribuire all’esterno la responsabilità degli accadimenti ludici (e poi reali),
oppure a farsi carico e responsabilità degli stessi tramite controllo interno
consapevole della loro gestione.
Funziona tutto, anche l’assenza di materiali con relativi
costi (nei role playing si lavora con la fantasia e la voce, che costano
pochissimo).
Unico neo, l’impossibilità di gestire un gruppo così numeroso
con questa modalità di gioco: un master pur bravo non può controllare e
condurre un gioco in cui decidono agiscono e si scontrano più di sei/sette
personaggi.
Tempo prima avevo già affrontato lo stesso problema per un
cliente diverso ma con le stesse problematiche logistiche, ed avevo sviluppato un’ipotesi di lavoro sempre in role
playing, ma su due piani diversi, tenendo nel gioco solo sei personaggi (in
cerca d’autore, se vogliamo) e facendoli gestire da altrettanti gruppi invece
che da singoli. Un po’ come se ciascun team gestisse un suo avatar nella storia. Un avatar, insomma, le cui azioni e
decisioni non erano tanto spontanee come succede dei normali role playing
formativi, ma più meditate grazie al filtro di una serie di decisioni comuni.
In concreto: al master che segnala la situazione in cui
agire “in un cortile in cui non si vede
molto bene perché molte luci sono spente e molte lampadine rotte, sentite una
voce provenire da un angolo buio in basso senza però distinguere quel che dice…”
ogni team -che corrisponde ad un
personaggio della storia- si raduna per
un tempo massimo predefinito, decide cosa fa il suo personaggio (ad es. “ parte da solo nella direzione da cui
proviene la voce” – piuttosto che “si
ferma e cerca di trovar un modo per aumentare la luce facendo
torcia di un giornale che aveva con sé”) e poi tramite portavoce lo
comunica al master che ne prende atto e porta avanti l’avventura, raccogliendo via
via le diverse dichiarazioni dei team e gestendone le conseguenze.
Alla fine di ogni capitolo della storia il racconto si ferma
e i gruppi ragionano –prima con un facilitatore per gruppo e poi in plenaria-
su come hanno fatto comportare i loro avatar,
in ottica focalizzata naturalmente ad analizzare gli elementi base legati al
tema locus of control.
Purtroppo io per ragioni diverse non avevo potuto
sperimentare questa procedura, ma il suddetto Dudo, acquisita e implementata questa modalità di
ludotransfert, è riuscito a portare avanti il progetto, constatando che, a fronte della perdita di un po’ della
spontaneità tipica di questa metodologia esperienziale, il gioco e la
formazione hanno funzionato, e l’aula ci ha guadagnato in analisi razionale. In
ogni caso il risultato di questo role playing -malgrado la modalità avatar- ha ottenuto
un fortissimo coinvolgimento: il 95 % dell’aula si è calato comunque fortemente
nei vari ambienti della storia,
mantenendo emozioni e stati d’animo nonostante l’evidente distacco “meccanico” tra avatar e persone che lo “guidavano”.
In compenso, grazie ai diversi piani di meditazione su come
le persone vere del gruppo hanno deciso di far agire e reagire agli stimoli
dell’avventura i loro avatar, è stato poi possibile trasferire efficacemente il tutto sul piano della
realtà quotidiana lavorativa. Con soddisfazione dell’azienda che aveva
commissionato il progetto.
Ebbravo il Dudo.
mercoledì 3 ottobre 2012
MA SI PUO'?
In questo blog si parla di gioco, didattica e formazione
come pare evidente dal titolo.
Uno dei temi fondanti quindi è l’uso del gioco
per insegnare qualcosa.
A volte il gioco viene usato per analizzare le
competenze, altre volte per studiare le relazioni, altre ancora per creare, magari
attraverso la provocazione, reazioni utili alla crescita dei “discenti” .
A volte il gioco viene anche usato come simulazione
protetta, per fare sperimentare ambienti e attività che nella vita reale comporterebbero,
in caso di errore, costi insostenibili (vedi un classico, il flight simulator),
oppure attività non praticabili in sedi normali.
A questa valenza anche liberatoria tuttavia c’è chi sostiene
che si dovrebbe comunque porre un limite, magari determinato dal buon senso e dal
rispetto di chi si ha davanti.
Tempo fa ricordo un forte polemica derivata da
un gioco dal titolo esplicativo: Lager.
Si simulavano i campi di sterminio e lo
scopo dei giocatori era di ottimizzare il “servizio” reso appunto dalle camere a gas.
Ad una inevitabile grande indignazione sollevata in chi
riteneva che quell’argomento non potesse essere in nessun caso oggetto di
simulazione ludica, gli autori rispondevano che quella provocazione era uno
strumento efficacissimo atto a portare a conoscenza del pubblico -e soprattutto
di quello infantile- l’infamia della soluzione finale hitleriana. Secondo gli
autori aveva quindi una importante funzione didattica, eticamente non più
discutibile di giochi che simulano la guerra –come i wargame o anche Risiko!-, o
che ripropongono il crimine tipo Thief, una fortunatissima serie di videogiochi Stealth pubblicati
da Eidos Interactive.
Lager venne comunque quasi subito ritirato e non se ne seppe
più nulla.(fortunatamente, mi permetto di dire io).
Oggi apro IGoogle e in prima pagina trovo il video più
cliccato del giorno: Squillo, un gioco che permette ai giocatori di
interpretare magnaccia e papponi in uno scontro di raket metropolitano. Nel promovideo
-che ovviamente ho aperto subito confermando il valore virale di questo tipo di
marketing- si propone questo ambiente con una chiarezza al limite dell’imbarazzante.
L’autore è Immanuel Casto, principe del Porn Groove (che confesso di non sapere
cosa sia, ma lui se lo dice da sé), sedicente membro anche del Mensa (che invece so
cos’è, il club dei maggiori intelligenti internazionali, in cui peraltro è accettato
anche Sylvester Stallone…). Di sé Immanuel dice anche di aver collaborato con Paolo
Magagna (Teatro dell’Ascolto), Marina Pitta e Gianfranco Rimondi (Teatro dei
dispersi) che non so quanto siano lieti di questa citazione.
Alcune chicche
della presentazione: “Una sfida a colpi di fellazio” “puoi mettere Manu –una delle
carte puttana- sotto antidepressivi”, una testimonial afferma “si può trovare sesso
occasionale, abuso di stupefacenti e sensi di colpa. Mi sono detta: ma questa
sono io!”. Ebbrava!
Il valore delle carte è il tramite attraverso cui ogni
prostituta permette un ricavato da prestazione, ma "in caso di difficoltà si può
recuperare anche un incasso dalla vendita dei suoi organi".
Non so come funzioni il meccanismo (parrebbe una specie di Magic),
e credo che il game design rispetto al contenuto di immagini e testo non abbia
poi molta importanza.
Certo è un gioco che racconta di cose che in effetti entrano
in ogni casa ogni sera tramite quasi ogni telefilm, e leggiamo in tantissimi
libri. Certo parla di cose che dovrebbero indignare nella realtà prima che nella
simulazione del gioco. Certo sarebbe meglio che i critici si dessero da fare
per sostenere il Gruppo Abele o la Caritas prima di attivarsi per far ritirare questo gioco.
Alla fine mi concedo di rispondere alla domanda del titolo: FORSE SI PUO'.
Però mi autorizzo a credere che non sia giusto giocare in questo modo, e che l’attenzione
al problema della tratta delle bianche e delle nere non necessariamente debba
passare da questo tipo di provocazione che personalmente non ho nessuna intenzione di usare nè didatticamente nè per passatempo. Men che meno fornendo guadagno al più
grande furbacchione porno DJ che abbiamo in Italia.
Che paradigmaticamente conclude il suo spot dicendo: “è vero sono biondo ed ho un corpo perfetto, ma questo mi da
forse il diritto di ridicolizzare tematiche così drammatiche e di farne
addirittura un gioco? Sì” . Ma che fosse amico di Corona...?
So che con questo post gli sto facendo pubblicità… però se
anche uno solo dei miei pochi lettori si andasse poi -oltre che a vedere il video, lo so che lo farete- anche a
leggere il documento sulla tratta della prostituzione che trova a
magari, vai a vedere che anche il nostro Casto ha fatto involontariamente formazione…
E su questo davvero mi piacerebbe leggere qualche commento.
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