
Il Dudo ipotizza –correttamente, secondo me- che un gioco di
ruolo possa sviluppare un ambiente formativo esperienziale adatto al tema: dato un master che gestisce un’avventura
ragionevolmente semplice, le modalità di approccio ai problemi e alla relazione
da parte dei partecipanti permetterebbero ad alcuni osservatori all’uopo
posizionati in aula di analizzare e poi riportare in debriefing, tramite
oggettiva analisi dei comportamenti agiti nel gioco, le tendenze di ciascuno ad
attribuire all’esterno la responsabilità degli accadimenti ludici (e poi reali),
oppure a farsi carico e responsabilità degli stessi tramite controllo interno
consapevole della loro gestione.
Funziona tutto, anche l’assenza di materiali con relativi
costi (nei role playing si lavora con la fantasia e la voce, che costano
pochissimo).
Unico neo, l’impossibilità di gestire un gruppo così numeroso
con questa modalità di gioco: un master pur bravo non può controllare e
condurre un gioco in cui decidono agiscono e si scontrano più di sei/sette
personaggi.
Tempo prima avevo già affrontato lo stesso problema per un
cliente diverso ma con le stesse problematiche logistiche, ed avevo sviluppato un’ipotesi di lavoro sempre in role
playing, ma su due piani diversi, tenendo nel gioco solo sei personaggi (in
cerca d’autore, se vogliamo) e facendoli gestire da altrettanti gruppi invece
che da singoli. Un po’ come se ciascun team gestisse un suo avatar nella storia. Un avatar, insomma, le cui azioni e
decisioni non erano tanto spontanee come succede dei normali role playing
formativi, ma più meditate grazie al filtro di una serie di decisioni comuni.

Alla fine di ogni capitolo della storia il racconto si ferma
e i gruppi ragionano –prima con un facilitatore per gruppo e poi in plenaria-
su come hanno fatto comportare i loro avatar,
in ottica focalizzata naturalmente ad analizzare gli elementi base legati al
tema locus of control.
Purtroppo io per ragioni diverse non avevo potuto
sperimentare questa procedura, ma il suddetto Dudo, acquisita e implementata questa modalità di
ludotransfert, è riuscito a portare avanti il progetto, constatando che, a fronte della perdita di un po’ della
spontaneità tipica di questa metodologia esperienziale, il gioco e la
formazione hanno funzionato, e l’aula ci ha guadagnato in analisi razionale. In
ogni caso il risultato di questo role playing -malgrado la modalità avatar- ha ottenuto
un fortissimo coinvolgimento: il 95 % dell’aula si è calato comunque fortemente
nei vari ambienti della storia,
mantenendo emozioni e stati d’animo nonostante l’evidente distacco “meccanico” tra avatar e persone che lo “guidavano”.
In compenso, grazie ai diversi piani di meditazione su come
le persone vere del gruppo hanno deciso di far agire e reagire agli stimoli
dell’avventura i loro avatar, è stato poi possibile trasferire efficacemente il tutto sul piano della
realtà quotidiana lavorativa. Con soddisfazione dell’azienda che aveva
commissionato il progetto.
Ebbravo il Dudo.
Ciao Marco.
RispondiEliminaCome vedi ormai ti seguo anche qui... :)
Molto interessante scoprire che ti occupi anche di RPG nel contesto della formazione. In passato ho svolto un'attività simile, orientata più allo svago che formazione, o meglio: implicitamente formativa seppure esplicitamente ludica, nella percezione del partecipante. ;)
In quel contesto avevamo risolto la questione dei "troppi giocatori per un master" con la formula LARP (live), sistema che permetteva di gestire fino a 20 persone per master. Lavoravamo in due o tre, e siamo riusciti a gestire gruppi di giocatori compresi fino a 50 persone (che non è male).
Certo, data la "mission" di indagare l'approccio del locus interno o esterno, senza un monitoraggio stretto è difficile raccogliere dei feedback individuali... quindi credo che la soluzione che hai discusso resti la migliore... grazie della dritta!