martedì 23 ottobre 2012

AVATAR


Qualche giorno fa Ludovico Pasini, detto Dudo Dado Pensante, amico e collega, mi chiede se ho qualche idea per un gioco di ruolo formativo, centrato sul tema del locus of control, da proporre a una ventina di aziendali. Come dice Luca Saita in un suo illuminante articolo (http://lucasaita.it/locusofcontrol.html), il  locus of control corrisponde al  modo nel quale una persona percepisce se stessa rispetto al controllo degli eventi. Un locus "esterno" scarica sul destino o sugli altri la responsabilità di quanto accade. Un locus "interno" vede invece il soggetto molto più indirizzato a considerare il destino come un effetto delle proprie azioni, e quindi una variabile controllabile. Insomma il controllo interno porta dritto alla famosa massima latina: cuisque faber fortunae suae (ognuno è artefice del suo destino).
Il Dudo ipotizza –correttamente, secondo me- che un gioco di ruolo possa sviluppare un ambiente formativo esperienziale adatto al tema:  dato un master che gestisce un’avventura ragionevolmente semplice, le modalità di approccio ai problemi e alla relazione da parte dei partecipanti permetterebbero ad alcuni osservatori all’uopo posizionati in aula di analizzare e poi riportare in debriefing, tramite oggettiva analisi dei comportamenti agiti nel gioco, le tendenze di ciascuno ad attribuire all’esterno la responsabilità degli accadimenti ludici (e poi reali), oppure a farsi carico e responsabilità degli stessi tramite controllo interno consapevole della loro gestione.
Funziona tutto, anche l’assenza di materiali con relativi costi (nei role playing si lavora con la fantasia e la voce, che costano pochissimo).
Unico neo, l’impossibilità di gestire un gruppo così numeroso con questa modalità di gioco: un master pur bravo non può controllare e condurre un gioco in cui decidono agiscono e si scontrano più di sei/sette personaggi.
Tempo prima avevo già affrontato lo stesso problema per un cliente diverso ma con le stesse problematiche logistiche, ed avevo sviluppato un’ipotesi di  lavoro sempre in role playing, ma su due piani diversi, tenendo nel gioco solo sei personaggi (in cerca d’autore, se vogliamo) e facendoli gestire da altrettanti gruppi invece che da singoli. Un po’ come se ciascun team gestisse un suo avatar nella storia. Un avatar, insomma, le cui azioni e decisioni non erano tanto spontanee come succede dei normali role playing formativi, ma più meditate grazie al filtro di una serie di decisioni comuni.
In concreto: al master che segnala la situazione in cui agire “in un cortile in cui non si vede molto bene perché molte luci sono spente e molte lampadine rotte, sentite una voce provenire da un angolo buio in basso senza però distinguere quel che dice…” ogni team -che corrisponde  ad un personaggio della storia-  si raduna per un tempo massimo predefinito, decide cosa fa il suo personaggio (ad es. “ parte da solo nella direzione da cui proviene la voce” – piuttosto che “si ferma e cerca di trovar un modo per aumentare la luce  facendo torcia di un giornale che aveva con sé”) e poi tramite portavoce lo comunica al master che ne prende atto e porta avanti l’avventura, raccogliendo via via le diverse dichiarazioni dei team e gestendone le conseguenze.
Alla fine di ogni capitolo della storia il racconto si ferma e i gruppi ragionano –prima con un facilitatore per gruppo e poi in plenaria- su come hanno fatto comportare i loro avatar, in ottica focalizzata naturalmente ad analizzare gli elementi base legati al tema locus of control.
Purtroppo io per ragioni diverse non avevo potuto sperimentare questa procedura, ma il suddetto Dudo, acquisita e  implementata questa modalità di ludotransfert, è riuscito a portare avanti il progetto, constatando che, a fronte della perdita di un po’ della spontaneità tipica di questa metodologia esperienziale, il gioco e la formazione hanno funzionato, e l’aula ci ha guadagnato in analisi razionale. In ogni caso il risultato di questo role playing -malgrado la modalità avatar-  ha  ottenuto un fortissimo coinvolgimento: il 95 % dell’aula si è calato comunque fortemente  nei vari ambienti della storia, mantenendo emozioni e stati d’animo nonostante l’evidente  distacco  “meccanico”  tra avatar e persone che lo “guidavano”.

In compenso, grazie ai diversi piani di meditazione su come le persone vere del gruppo hanno deciso di far agire e reagire agli stimoli dell’avventura i loro avatar, è stato poi possibile trasferire efficacemente il tutto sul piano della realtà quotidiana lavorativa. Con soddisfazione dell’azienda che aveva commissionato il progetto.
Ebbravo il Dudo.

1 commento:

  1. Ciao Marco.
    Come vedi ormai ti seguo anche qui... :)

    Molto interessante scoprire che ti occupi anche di RPG nel contesto della formazione. In passato ho svolto un'attività simile, orientata più allo svago che formazione, o meglio: implicitamente formativa seppure esplicitamente ludica, nella percezione del partecipante. ;)

    In quel contesto avevamo risolto la questione dei "troppi giocatori per un master" con la formula LARP (live), sistema che permetteva di gestire fino a 20 persone per master. Lavoravamo in due o tre, e siamo riusciti a gestire gruppi di giocatori compresi fino a 50 persone (che non è male).

    Certo, data la "mission" di indagare l'approccio del locus interno o esterno, senza un monitoraggio stretto è difficile raccogliere dei feedback individuali... quindi credo che la soluzione che hai discusso resti la migliore... grazie della dritta!

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