Ricordate
il mitico Sordi degli anni ’60? Quello impallinato del modello americano? (http://www.youtube.com/watch?v=N8WuLcncbBM)
Beh
sembra che dopo 50 anni non sia cambiato di molto il mito dell’anglofonìa.
Ok,
voglio dichiarare un fermo endorsement (dare
appoggio), alla possibilità di parlare –almeno in aule di formazione- un po’ meno inglese e un
po’ più italiano. Non che mi voglia riportare all’uso del ventennio in cui si traduceva
ogni termine straniero in italianissime forme idiomatiche, ma anche questo modo,
vezzo e passione dei consulenti di parlare inglese dovrebbe trovare un limite.
Se
in ambito tecnico ormai alcune parole tendono ormai all’inevitabile -accendere
come gli spagnoli un ordinatore al posto di un computer farebbe un po’ esagerato,
maneggiare un topo al posto di un mouse farebbe un po’ schifo- certi dialoghi
fra consulenti si potrebbero davvero evitare.
“Ho
organizzato un meeting (incontro) tramite
conference call (telefonata) per tutto
il board (vertice) di un key client (importante cliente), a cui ho fatto partecipare
il CEO (pr. sìo, direttore generale)
con tutto il suo team (squadra) per
dare il massimo del committment (importanza)
sia alla vision (visione) che alla
mission (missione) che sarebbero
uscite da un briefing (discussione e
analisi) fondato sul brain stroming (parlare a ruota libera) al fine di strutturare
una migliore governance (indicazione
direttiva) per tutta l’azienda.”
Oppure:
“occorre sviluppare team building (creare
un gruppo) attraverso una knolwledge sharing (scambio di conoscenze) che sia alla base del team working (lavorare in gruppo) orientato ad un
efficace change management (gestione del
cambiamento) che tenga presenti, in ottica di empowerment (potenziamento), sia il time management (organizzazione del tempo) che lo
sviluppo dei tools (strumenti) base più
importanti, quali ad esempio la leadership (capacità
di guida) linkata (collegata) ai
più efficienti mezzi di people care (attenzione
alle persone).”
Se
necessario per il debriefing (tirare le
conclusioni) possiamo usare slide (proiezioni)
o anche le sempre valide flip chart (lavagne
a fogli).
Va
bene che ogni categoria ha il suo slang (linguaggio
settoriale) che le permette di fare riconoscere fra loro i componenti del
clan (gruppo), e che senza un certo
imprinting (caratteristica) i coach, i mentor, i tutor e i councellor (questi non li traduco singolarmente perché è
davvero sottile la distinzione ufficiale fra loro, anche se potremmo chiamarli
un po’ tutti facilitatori) non si darebbero il peso che si danno. Ma quando
è troppo è troppo.
Così
quando in aula incontro persone che mi chiedono di non parlare troppo
consulentese, io propongo, per aiutare in questo senso sia me che gli altri
relatori, un gioco molto simile alla tombola: al posto delle cartelle si distribuiscono
dei foglietti -come quello a sinistra- su cui sono distribuite alla rinfusa una
decina fra i termini inglesi diversi da cartella a cartella. Durante i lavori
le persone cancellano dalle loro cartelle i termini usati e vince il primo che fa “lotto!” (che corrisponde
appunto alla tombola, ma fa molto più figo). Risultato: la maggior parte dei relatori
pronuncia il 50% in mano di termini inglesi, e la platea capisce almeno il 50%
in più di quello che i relatori dicono.
A
meno che la platea non sia fatta di consulenti, che allora criticano il
relatore perché parla come mangia….