11 settembre, vado a Modena per seguire un seminario dal
titolo intrigante:
Il gioco. Uno strumento multidisciplinare. Un seminario
pratico.
Ci vado per il titolo, che mi acchiappa fin nella separazione letteralmente puntuale
fra gioco, strumento e praticità.
Ci vado per i docenti che sono un amico di
lunghissima data (Antonio Brusa, docente di storia con cattedra a Bari e utente
di giochi per docere la storia), un amico più giovane ma ormai nel gotha del
ludico italiano (Andrea Liga Ligabue, esperto, collezionista, organizzatore e
padre di figlie giocanti) e Roberto Guidetti che non conosco ma mi fido (docente
di genetica e dintorni all’università di Modena, assistito da Matteo Bisanti,
giovane ludodivulgatore scientifico).
Come me si fidano evidentemente molti altri: da discenti ci sono circa sessanta
docenti “vere”, di scuola vera, quella che parte proprio oggi, di ogni ordine e
grado. Cito al femminile perché di maschi ne siamo 4 fra il pubblico, più i relatori
(esclusa ovviamente l’ottima Giulia Ricci, dell’Istituto Storico di Modena, deus ex machina di questo seminario e molto altro).
Il tutto é lanciato da Memo, acronimo che (credo) riprenda
Multicentro Educativo Modena.
Son davvero felice di esserci venuto e consiglio a tutti di
scrivere al suddetto Memo per avere ogni informazione possibile su questo
seminario e sui prossimi: memo@comune.modena.it
Felice perché vedo un ente pubblico che sul serio mette a
disposizione dei suoi dipendenti (insegnanti nel caso) strutture e idee d’avanguardia
e finalmente un po’ diverse dal solito banale.
Felice perché vedo insegnanti che investono il loro tempo e
la loro energia pensando non agli straordinari ma a come trasferire meglio e in
modo più efficace i concetti agli studenti.
Felice perché ascolto realtori che non se la tirano ma credono
in quello che fanno e lo si vede dalla loro faccia. E trasmettono davvero le
cose invece di suggerire solo che sarebbero molto bravi a farlo.
Felice perché ascolto e pratico un sacco di modelli
didattici interessanti, molti dei quali con le dovute elaborazioni senza dubbio
utilizzabili anche nella formazione d’aula più adulta e manageriale possibile.
Felice perché insieme ad amici approfondiamo il tema ludo
formativo dell’attenzione alla forma del gioco vs.contenuti trasmessi o trasmissibili
(e su questo conto di sviluppare un post ad hoc).
Vi passo in concreto qualche dritta:
il gioco dei nomadi e
dei sedentari del prof Brusa: lavorare sugli stereotipi usando quello della
normale accezione di nomade=zingaro, partendo dai pastori sumeri per arrivare a
scoprire che in effetti non si sa nulla dei Rom, e che almeno il 30% di tutti
noi è definibile come nomade (dagli informatori farmaceutici ai marinai…). Ottenendo
così un bel focus utilizzabilissimo ad esempio per lavorare sulla competenza critica nella raccolta delle
informazioni (per maggiori info scrivete a brusa@mundusonline.it).
Il gioco dell’Isola perduta –reperibile in ogni buon negozio
di giochi- che fa sviluppare un bel meccanismo di cohopetition, cercando di
salvare i giocatori da un’isola che sprofonda progressivamente (un po’ come nel
vecchio Atlantis dell’Hasbro, per i più anziani fra i miei lettori). Per sapere
di più su questo e altre novità applicabili all’aula potete scrivere a liga@treemme.org.
Il gioco del DNA con le lettere, che mi ha fatto capire in pochi
minuti quel che non avevo compreso in 60 anni del meccanismo genetico: con
pennarelli e tappi colorati si formano delle combinazioni di colori che
corrispondono a lettere, con cui fare anagrammi. Ma basta cambiare un colore e
tutto diventa diverso, nuove lettere per nuove parole… detto così magari è un po’
incasinato, ma se chiedete al Memo vi danno la mail di Matteo Bisanti che a sua
volta vi spedisce il pacchetto completo di gioco e DNA allegato.
Ah, ho anche mangiato dei tortellini alla panna davvero
davvero buoni. E ho visto due Ferrari.
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